I 1390 morti «dimenticati» dall’Istituto Superiore di Sanità

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2020-05-24

Il ministero dirama ogni venerdì il monitoraggio che sulla base di 21 punti elaborati da due algoritmi fotografa l’andamento del virus. L’ultimo monitoraggio contiene la tabella aggiornata al 21 maggio e il numero dei morti è 31.096. Nella tabella diramata dalla Protezione civile relativa allo stesso giorno il numero dei morti è 32.486, 1.390 in più. Come è possibile una simile differenza?

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I numeri non tornano nel monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità sull’emergenza Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19. E si sbaglia su un dato piuttosto importante: quello dei morti. Scrive oggi il Corriere della Sera in un articolo a firma di Fiorenza Sarzanini che nell’ultimo report sono stati conteggiati 1390 morti in meno rispetto a quelli reali.

I 1390 morti «dimenticati» dall’Istituto Superiore di Sanità

Tenendo conto che quel documento è la base utilizzata dal governo per decidere le riaperture e dal 3 giugno per stabilire se sia possibile andare in una Regione diversa da quella di residenza, si tratta di un’omissione clamorosa. Ma non l’unica, visto che la Fondazione Gimbe ha già segnalato che nei report lombardi si comunicano i dimessi dagli ospedali, con una sovrastima dei guariti. Sempre in Lombardia, secondo il Fatto Quotidiano, dall’11 maggio sarebbero spariti dal grafico dei contagi di Milano i casi confermati e sintomatici, mentre il Trentino è improvvisamente passato da una media di rapporto contagi/tamponi superiore al 4% il 28 aprile, con gravi preoccupazioni, a quella ultra rassicurante dell’11 maggio, dello 0,14%. Non un miracolo, ma un calcolo di contagi più bassi per errore. Mentre nelle Marche da un giorno all’altro si è cominciato a contare solo i casi sintomatici. Ma torniamo all’ISS:

Da due settimane, il ministero dirama ogni venerdì il monitoraggio che sulla base di 21 punti elaborati da due algoritmi fotografa l’andamento del virus. I dati vengono trasmessi dalle Regioni e poi assemblati dai tecnici ministeriali. Ogni Regione deve comunicare la tenuta delle strutture sanitarie, il numero dei tamponi effettuati, il numero di malati e di positivi asintomatici, il numero dei posti in terapia intensiva. Sulla base di questi parametri viene assegnata una valutazione di rischio e questo«giudizio» servirà a decidere nuove aperture, eventuali chiusure o «zone rosse», ma anche a stabilire come consentire lo spostamento da una Regione all’altra.

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Emergenza Coronavirus: i numeri del 23 maggio 2020 (Corriere della Sera, 24 maggio 2020)

L’ultimo monitoraggio contiene la tabella aggiornata al 21 maggio e il numero dei morti è 31.096. Nella tabella diramata dalla Protezione civile relativa allo stesso giorno il numero dei morti è 32.486, 1.390 in più. Come è possibile una simile differenza? Ci sono Regioni che hanno comunicato un numero inferiore? Quali uffici trasmettono i dati? E chi li elabora? A tutti questi interrogativi bisogna dare risposta se si vuole confermare l’attendibilità del monitoraggio anche tenendo conto che tutte le scelte del governo si basano su questo elaborato.

In una nota l’Istituto superiore di Sanità afferma che «i morti riportati nel bollettino settimanale sono basati sul flusso di sorveglianza integrata Covid-19 dell’Iss che raccoglie per ciascuna persona diagnosticata con Covid-19 varie informazioni tra cui la data di decesso. Tali informazioni individuali hanno un ritardo rispetto a quelle comunicate tempestivamente alla Protezione civile. I dati del bollettino di ieri inoltre si riferivano ai dati estratti giovedì 21 e ricevuti mercoledì. La differenza è quindi attesa ed in linea tra i due sistemi di raccolta dati».

I tamponi delle Regioni

Il piccolo “errore” dell’ISS fa il paio con quanto sta succedendo sul fronte dei test del tampone. Gli esperti della Fondazione Gimbe hanno elaborato un grafico che spiega la situazione attuale. Il periodo di riferimento è tra il 22 aprile e il 20 maggio, il passaggio dal lockdown alla «Fase 2». Tre dati sono importanti: quanti tamponi «diagnostici» al giorno ogni 100 mila abitanti (i tamponi «diagnostici» sono i primi, quelli che servono a scoprire se una persona è infetta o no, escludendo i successivi di controllo); quanti «positivi» vengono scoperti (sempre per 100 mila abitanti), e infine la percentuale di tamponi «positivi» sul totale.

Incrociando i dati, le Regioni vengono collocate in quadranti: il primo è quello delle più virtuose, con numero di tamponi sopra la media italiana e numero di nuovi malati ben sotto la media. Tradotto: quelle Regioni cercano tanto il virus e lo trovano poco, dunque la bassa circolazione del Covid 19 è in qualche modo garantita da una vasta lente di ricerca. Umbria e Basilicata, ad esempio, nel periodo di riferimento hanno fatto 2.700-2.800 tamponi e hanno trovato solo 8«positivi» (sempre su 100mila abitanti). Nel secondo quadrante si posizionano invece le Regioni con tamponi sotto la media ma anche «positivi» sotto la media: trovano pochi malati, ma li cercano anche poco. Dunque, può restare il dubbio che circoli più virus di quello che viene intercettato.

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Il grafico della Fondazione Gimbe sui tamponi nelle regioni (Corriere della Sera, 24 maggio 2020)

Puglia e Campania, ad esempio, hanno scoperto solo 19 e 10«positivi» per 100mila abitanti, tra il 22 aprile e il 20 maggio, ma hanno fatto anche meno di 600 tamponi.

Fare pochi tamponi potrebbe essere una strategia opportunistica (e rischiosa): tenere il numero di casi ufficiali basso e non andare a cercare gli asintomatici, col pericolo che poi il sommerso riemerga in ospedale, all’improvviso, coi ricoveri. Dunque il vero tema è: quali Regioni stanno cercando il virus in maniera approfondita ed efficace? Per certe Regioni come la Lombardia con un elevato numero di casi, il tracciamento dei contatti dei «positivi» può diventare problematico (anche se da giorni il numero di tamponi è in crescita), ma per uno screening profondo e capillare non c’è altra strada.

Nel terzo quadrante (il quarto è vuoto), si trovano Piemonte e Lombardia, più la Liguria e l’Emilia-Romagna, che fanno tamponi in media col resto d’Italia ma trovano più «positivi». «Vista l’incidenza dei nuovi casi, è auspicabile — ribadisce Cartabellotta — che queste Regioni aumentino la propria capacità di effettuare tamponi».

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