La bassezza ci salverà

di Luca Conforti

Pubblicato il 2017-06-21

Nello scontro tra sostenitori ed oppositori del progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle il maggiore motivo di attrito sono state le torri di Libeskind. Che ne sarebbe stato della vista panoramica su Roma, che si distende placida e sonnacchiosa nella valle del Tevere? Come si sarebbero innestati nel bucolico paesaggio delle periferie romane quegli obbrobri verticali? Diciamocelo: l’elogio dell’orizzontalità ha salvato la Città Eterna

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Nello scontro tra sostenitori ed oppositori del progetto dello stadio della Roma a Tor di Valle il maggiore motivo di attrito – quello che ha determinato la fine del vecchio progetto e la nascita di quello nuovo targato Raggi – è stata la questione delle torri di Daniel Libeskind. Quella specie di inguardabile Manhattan in riva al Tevere per fortuna ora è sparita e il paesaggio romano è salvo. Non si dispera il proponente, che può così risparmiare decine di milioni di euro in opere pubbliche di dubbia utilità, come ponti e stazioni ferroviarie. E sono in molti a gioirne, dagli arzilli Nimby dei comitati anti-cemento ai residenti delle zone che affacciano su Tor di Valle, i quali, dai balconi di Mostacciano o Torrino, potranno così continuare a godere delle ampie e rassicuranti vedute che si aprono sull’ansa fluviale, fino agli sfasciacarrozze della Magliana.

I grattacieli a Roma

Di questa furia iconoclastica preventiva sono stati partecipi tutti coloro ai quali sta davvero a cuore l’economia romana. Un’economia che sarà pure fondata sull’arte dell’arrangiarsi, ma che poggia saldamente sui valori della piccola impresa solidale e del rispetto del territorio: commercianti di prossimità che si piazzano sul marciapiede sotto casa per risparmiare ai consumatori la fatica di lunghi spostamenti necessari per recarsi in anonimi centri commerciali; costruttori paladini della libera concorrenza talmente affezionati alla filosofia del basso impatto antropico da piazzare spesso le proprie palazzine di non più di quattro piani nella campagna oltre il GRA; ex detenuti in libera uscita che si rieducano facendo i parcheggiatori solidali dinanzi a uffici ed ospedali, ai quali va il merito di rappresentare l’unica forma di resistenza alle mire speculative di chi vorrebbe soddisfare la domanda di posteggi con ignobili parking interrati.
torri libeskind grattacieli
C’è poi il movente puramente estetico alla base della lotta ai grattacieli, un movente che ha animato il fior fiore dell’intellighenzia romana. Che ne sarebbe stato della vista panoramica su Roma, che si distende placida e sonnacchiosa nella valle del Tevere? Come si sarebbero innestati nel bucolico paesaggio delle periferie romane quegli obbrobri verticali? Diciamocelo: l’elogio dell’orizzontalità ha salvato la Città Eterna e, con essa, ha sottratto ad un destino di grigiore e noia le domeniche dei romani, che potranno continuare a recarsi sulla terrazza del Gianicolo con un buon binocolo per scrutare l’orizzonte (sterpaglie permettendo, s’intende, ma quello è un altro discorso).

Il male che fanno i grattacieli alla città

Dovremmo tutti sempre ricordarlo: a Roma non può esserci distinzione tra natura e architettura, perché Roma è un museo a cielo aperto dove tutto è paesaggio. Intoccabile. Qualcuno osa ancora chiedere: “ma quei grattacieli in periferia, a così grande distanza dal centro, non sarebbero stati un’attrazione in più per la città? Qualcosa di simile alla Defense di Parigi?” Eh no, cari signori, nel centro storico di Parigi non hanno mica gli attici con terrazze che abbiamo noi a Roma! Volete forse rovinare la vista panoramica dalla terrazza di un attico da 15 mila euro/mq? Ve la immaginate una festa in terrazza tipo “La Grande Bellezza” in cui i padroni di casa non riescono a trascinare nei balli i propri ospiti perché questi restano scandalizzati ad osservare volgari monoliti di vetro e acciaio che si stagliano all’orizzonte? Sarebbe stato un colpo mortale alla vitalità dei salotti culturali romani. E così, anche la cultura, oltre all’economia, ne sarebbe uscita massacrata.
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Senza dimenticare, infine, le ragioni di ordine pratico-salutistico che sconsigliano di realizzare edifici verticali. È noto che, in presenza di un grattacielo, tutti siano portati istintivamente ad osservarne la vetta alzando lo sguardo. Va bene che lo si faccia a New York o a Dubai quando si è in vacanza, ma perché costringerci a farlo anche a casa nostra e sottoporci a innaturali torsioni delle fasce muscolari del collo che, alla lunga, possono degenerare in fastidiose infiammazioni del nervo cervicale? Se a Roma si cominciassero a costruire grattacieli, i romani prenderebbero l’insana abitudine di andare in giro con il naso all’insù, correndo ogni giorno il rischio di inciampare in una buca o di forare una gomma dello scooterone o della bicicletta. Insomma: città orizzontale e sguardo fisso rivolto a terra sono le chiavi per la salvezza di Roma e dei romani. Testa bassa e pedalare, dunque. Le buche saranno presto riparate e tutti potranno tornare a sfrecciare – come cantava Frankie Hi Nrg – “tra l’asfalto e i pargoli, medi come i ceti cui appartengono, terra-terra come i missili cui assomigliano”.

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