Economia
Grandi Opere: così si mangiano i tuoi soldi
di Alessandro D'Amato
Pubblicato il 2015-03-21
Stipendifici, marchette, opere con prezzi gonfiati, macchinari utilizzati solo per fare scena. Dall’ordinanza del GIP la descrizione di un sistema aberrante fatto di conflitti d’interesse e regalìe ai burocrati. E il bello è che tutto questo è perfettamente legale
Stipendifici, marchette, opere con prezzi gonfiati, macchinari utilizzati solo per fare scena. Il caso Lupi nell’inchiesta Sistema è soltanto la punta dell’iceberg: dalle carte dell’ordinanza del GIP quello che viene fuori, e che sembra ancor più significativo rispetto ai Rolex regalati ai figli dei politici, è il fatto che le Grandi Opere all’italiana siano un affare nel quale lo spreco di denaro pubblico non è l’eccezione, ma la regola. E il tutto, a quanto pare, dipende dalla legge e dall’istituzione della figura del General Contractor e del direttore dei lavori.
IL GENERAL CONTRACTOR
La figura chiave che viene affrontata nell’ordinanza è quella del general contractor, o contraente generale. Il general contractor è l’affidatario ultimo (ad autorizzarlo è lo Stato) di un contratto per la realizzazione di un’infrastruttura “con qualsiasi mezzo”. Le ultime tre parole sono le più importanti: significano che il contraente generale può essere anche subappaltante o muoversi semplicemente da agenzia di collocamento per le altre aziende. Le sue competenze sono spiegate nell’ordinanza:
Una delle sue competenze è la nomina del direttore dei lavori, che invece nei normali contratti di appalto delle opere pubbliche è affidata agli amministratori pubblici. Qui, dicono i magistrati, sta tutto il dramma e il problema: le due figure che dovrebbero lavorare in conflitto d’interessi diventano invece di colpo la stessa, e questo ovviamente permette e condiziona tutte le basi generali del lavoro. La direzione dei lavori in mano al general contractor infatti non ha alcun interesse a far sì che i termini economici del contratto siano rispettati, anzi spiega e fornisce giustificazioni sia per i ritardi che per le spese ulteriori. E qual è stato il risultato finale di tutto ciò:
E il bello di tutta la vicenda è che gli indagati dell’operazione Sistema sono perfettamente a conoscenza del problema; anzi, lo criticano anche nelle loro conversazioni. Giulio Burchi della Italferr dichiara che sarebbe necessario togliere dalla legge obiettivo il fatto che il general contractor possa nominarsi da sé il direttore dei lavori, perché è questo che differenzia la normativa italiana da quella della Gran Bretagna, da dove è mutuata la figura del contraente generale. «È una cosa che se tu la spieghi a un inglese non ci riesci, dice che ti sbagli, hai capito male», ammette candidamente Burchi mentre chi legge si rende benissimo conto che se la questione è così ridicola per lui, non si capisce perché non lo sia stata all’epoca per il legislatore o oggi per la politica. Eppure, nessuno dice nulla.
Il principale programma istituito con la figura del general contractor è quello dell’Alta velocità, e non possiamo non accorgerci così che probabilmente quanto svelato dall’Operazione Sistema sia soltanto la punta di un iceberg. All’interno di questo quadro legislativo la Struttura Tecnica di Missione di cui Ercole Incalza era il dominus assoluto ha raggiunto negli anni e grazie all’acquiescenza dei politici che si sono succeduti nelle poltrone che contavano la completa autonomia nella propria gestione. Era Incalza che si interessava della Legge Obiettivo, era Incalza che controllava l’assegnazione dei fondi, era sempre Incalza che al telefono con un suo succedaneo diceva che i fondi per le infrastrutture non sarebbero andati agli alluvionati della Liguria, come sarebbe stato necessario visto che c’erano opere urgenti da edificare, perché si sarebbe interessato lui. Dulcis in fundo, il bando che cercava un nuovo tecnico per la Struttura, che diceva che bisognava aver fatto per dieci anni il capo di una struttura per presentare la candidatura: una legge ad personam, diremmo riportando alla mente un periodo storico piuttosto buio. «Ettore Incalza è stato scelto con una procedura selettiva pubblica», ha detto ieri il ministro per le Infrastrutture, Maurizio Lupi, nel corso della sua informativa alla Camera in seguito all’inchiesta Grandi opere. Immaginiamo.
COME SI LAVORA ALLE GRANDI OPERE IN ITALIA
L’altro «dettaglio» che emerge dal racconto delle risultanze dell’indagine è il metodo di lavoro e l’attenzione ai soldi pubblici che ne deriva. Anche qui, siamo a livelli di imbarazzo assoluto. Ovvero, quando si spiega che in relazione alla direzione lavori per la Firenze Bologna un’azienda, la Ingegneria S. P. M. ha ricevuto l’incredibile cifra di 70 milioni di euro senza svolgere alcuna prestazione: qui si parla di patronage, in base al quale si prendeva il 4% di commissioni, oppure delle cosiddette Opere Accessorie, che hanno aumentato del 40% i costo dell’opera senza che la politica abbia mai avuto voglia di dire una parola.
Gli stessi intercettati parlano allegramente e in più occasioni di società come stipendifici e di marchette da regalare a chi viene indicato come direttore dei lavori o ha altre funzioni, per così dire – ma si fa per dire, appunto – di controllo e indirizzo. In un clima per genere non stupisce che si portino macchinari nei cantiere per non utilizzarle mai e lasciarcele tre anni. «Sennò le riserve come fanno a farle?», dicono alcuni intercettati.
«Parliamoci chiaro: la corruzione in questo Paese ha caratteri endemici. Lei pensa che una malattia endemica si possa cambiare attraverso un’Autorità che opera con poteri amministrativi?. Una legge ben scritta sugli appalti serve alla lotta alla corruzione molto più di 2 milioni di intercettazioni perché, per esempio la legge Obiettivo che concedeva il potere al direttore dei lavori di essere nominato dall’impresa è una legge criminogena. Su quello bisogna intervenire», ha detto Raffaele Cantone a Servizio Pubblico giovedì scorso. Già, intervenire in fretta e con la massima urgenza. Se soltanto la politica volesse.