Così il governo Conte ha fregato le piccole emittenti televisive locali

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-09-25

Un articolo del Milleproroghe approvato nei giorni scorsi al Senato mette a rischio la sopravvivenza delle emittenti televisive locali delle regioni con meno di due milioni di abitanti che faranno più fatica ad accedere al Fondo per il pluralismo

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All’interno del decreto Milleproroghe approvato in terza lettura al Senato c’è un articolo, che dopo la firma del Presidente della Repubblica diventerà legge, rischia di causare la chiusura di un centinaio di emittenti televisive locali e di creare, oltre ad una perdita occupazionale, anche un danno al pluralismo dell’informazione. L’articolo 4-bis del Milleproroghe conferma infatti, in sede legislativa, quanto stabilito dal DPR del 23 agosto 2017, n. 146 rispetto all’erogazione dei contributi statali alle imprese radiofoniche e televisive locali che vengono disposte annualmente dal Ministero dello Sviluppo Economico.

Perché il governo Conte danneggia il pluralismo dell’informazione

Il DPR 146/2017 ha riformato, in maniera molto drastica per alcuni, il sistema dei finanziamenti pubblici al settore radiotelevisivo. Andava a creare ad esempio graduatorie nazionali (e non più su base regionale) per poter accedere alle procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali (il totale del fondo è 100 milioni annui da suddividere tra televisioni e radio). Tra i criteri stabiliti dal nuovo regolamento c’era ad esempio quello di calcolare i contributi in base ai dati degli indici di ascolto Auditel. Ovvero in base al numero di spettatori che ogni emittente ottiene. Subito però si è visto che c’era un problema. Perché il regolamento è stato applicato per l’erogazione dei fondi relativi all’anno 2016 (quindi retroattivamente).

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via: Pixabay

È successo quindi che molte emittenti che per quell’anno non avevano stipulato un contratto con Auditel si sono trovate penalizzate in graduatoria. Prima del 2017 i dati Auditel non figuravano tra i criteri necessari per accedere al finanziamento. Vale la pena di ricordare che Auditel è una società privata (partecipata tra gli altri da Rai, RTI e La7) e che in questo modo si obbligano di fatto le emittenti locali a stipulare un contratto di rilevazione con Auditel. I dati Auditel incidono sul 10% del punteggio della graduatoria. Ai fini del calcolo della media annua, per i mesi per i quali i dati Auditel non sono disponibili, l’ascolto è valutato pari a zero

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Fonte

Non solo, il fatto di confrontare i dati Auditel su scala nazionale adottando il criterio del numero assoluto di spettatori ha creato una evidente disparità a favore di quelle emittenti che operano nelle regioni più popolose. È evidente infatti che se si confrontano gli ascolti fatti da una emittente locale che trasmette – poniamo – in una regione da 5 milioni di abitanti con quelli di una regione con meno di due milioni di abitanti ci sono più probabilità che la televisione locale che trasmette nella regione più “grande” in termini demografici (e quindi di spettatori) faccia un numero di ascolti maggiori in termini assoluti. Il che crea un altrettanto evidente disparità di trattamento nei confronti delle emittenti locali delle regioni “piccole” che hanno un bacino di spettatori minore e quindi un numero di potenziali ascoltatori che già in partenza è più basso.

Il governo vuole bloccare i ricorsi al TAR delle emittenti locali?

Proprio per questo motivo alcune emittenti televisive locali hanno presentato ricorso al TAR del Lazio, a patrocinare l’azione legale gli avvocati gli avvocati Giuseppe Ruta, Margherita Zezza e Massimo Romano, del foro di Campobasso. Massimo Romano ha spiegato a NeXt Quotidiano che l’approvazione del Milleproroghe «tenta di sterilizzare i ricorsi pendenti al TAR». Ricorsi rispetto ai quali – ricorda Romano – «i giudici amministrativi si sono già pronunciati in via cautelare, riconoscendone la attendibilità». Il pronunciamento del Tar è atteso per il 17 ottobre, ma con l’approvazione del Milleproproghe il governo Conte ha bloccato i ricorsi su un DPR che era già oggetto di impugnazione.

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Un estratto della graduatoria provvisoria dei contributi alle emittenti locali [Fonte]
«Si tratta di un fatto grave dal punto di vista giuridico», spiega l’avvocato Romano, perché così facendo «il governo tenta di mettere un bavaglio al Tar del Lazio» e soprattutto vengono penalizzati alcuni editori a favore di altri per il solo fatto che operano in regioni con meno pubblico. Regioni dove è peraltro più difficile mandare avanti un’emittente facendo affidamento unicamente sulla raccolta pubblicitaria. I nostri assistiti – continua Romano – «non chiedono più soldi ma una distribuzione non iniqua dei fondi già stanziati» in ragione del fatto che le emittenti locali forniscono un servizio di pubblica utilità. In molte occasioni sono infatti le troupe e i giornalisti locali ad arrivare per prime sul luogo di una tragedia o di un disastro e a fornire la prima copertura giornalistica ad un evento. Ma anche senza dover pensare a tragici fatti di cronaca le televisioni locali forniscono anche una copertura a notizie che non avendo rilevanza nazionale difficilmente verrebbero “coperti” dalle emittenti più grandi, si pensi ad esempio all’operato di una amministrazione locale sulla quale altrimenti i cittadini potrebbero non ricevere informazioni.

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L’articolo del DPR 146/2017 contestato da alcune emittenti televisive locali

Secondo l’avvocato Romano l’adozione dell’indice di ascolto rilevato dall’Auditel «una società indirettamente partecipata da emittenti che accedono ai contributi pubblici» va a premiare le emittenti delle regioni più grandi «penalizzando le emittenti di regioni come il Molise». Senza contare che i dati Auditel non sono standardizzati, ovvero non c’è un criterio standard per la rilevazione che poi fa punteggio in graduatoria. La normativa che diventa legge con il Milleproroghe secondo Romano ha prodotto anche effetti paradossali: «quello delle emittenti che hanno ricevuto un contributo maggiore (la graduatoria è già pubblica) per i contributi di “Area B” (quelli dell’indice di ascolti) rispetto a quelli di “Area A” (relativi alle spese per i dipendenti». Segno di una sproporzione tra il peso attribuito ai dati Auditel e quello attribuito al numero di lavoratori. Il rischio è che molte emittenti siano costrette a chiudere, lasciando a casa i dipendenti. Ma la battaglia non è finita, Massimo Romano infatti annuncia che verrà chiesto al Tar del Lazio di sollevare la questione davanti alla Corte Costituzionale per valutare eventuali profili di incostituzionalità del contenuto del decreto.

Foto copertina via Wikimedia.org

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