Gaetano Intrieri: il consulente di Toninelli e la vera storia della condanna

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2018-09-17

Il Fatto e i grillini difendono il consulente che parla di soldi dati in nero a un’altra società per giustificare l’ammanco di 429mila euro per cui è stato condannato. Ma la sentenza dice tutt’altro…

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Ieri il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Daniele Martini ha difeso a spada tratta Gaetano Intrieri, consulente del ministro Toninelli condannato per bancarotta, sostenendo una versione completamente diversa dei fatti che hanno portato alla pena confermata dalla Cassazione. Secondo quanto raccontato dallo stesso Intrieri al Fatto, che non ha evidentemente ritenuto opportuno effettuare verifiche su quanto detto dall’esperto, lui per salvare l’azienda e rilanciarla fu “costretto a pagare 420 mila euro a una società americana, la Aws, che per Gandalf aveva effettuato una mediazione con i lessor di alcuni aerei e curato l’ingresso di altri Boeing 737 necessari per dare un futuro alla compagnia. Gli americani non volevano essere pagati ufficialmente da Gandalf, perché temevano fallisse e non volevano perdere i soldi. Non avevo scelta se volevo salvare l’azienda e tutelare lavoratori e azionisti”. La stessa versione è data dalla senatrice Giulia Lupo del M5S. Ieri avevamo messo a confronto le parole di Intrieri con quanto scritto sulla sentenza, oggi Giacomo Amadori sulla Verità, che per primo ha sollevato il caso, conclude il percorso facendo piena luce sulla vicenda:

Gli improvvisati avvocati difensori di Intrieri forse dovrebbero esaminare con attenzione le sentenze e pure i verbali di interrogatorio con le confessioni del manager. La Cassazione, per esempio, non lascia scampo: «L’appropriazione della somma di 429.000 euro è stata confessata ad abundantiam dallo stesso imputato nell’interrogatorio del 13 maggio 2005», scrivono le toghe del Palazzaccio.

Per le quali le conclusioni dei colleghi di primo e secondo grado «sono ineccepibili e nemmeno intaccate dagli argomenti difensivi, atteso che appoggiano su accertamenti della polizia giudiziaria e sulle confessioni dell’imputato fantasiosamente sminuiti, nella loro valenza dimostrativa, dai difensori di quest’ultimo». Ma è la Corte d’appello di Bologna a mettere in luce nel dettaglio le contraddizioni della difesa di Intrieri e a informarci che l’allora presidente della Gandalf, Giovanni Laterza, e l’ad Intrieri si dimisero dopo pochi mesi «per irregolarità dovute ad alcune operazioni da loro effettuate».

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Gaetano Intrieri difeso dalla senatrice Giulia Lupo

Ma nell’articolo Amadori parla anche della tesi del rimborso ad AWS:  la Guardia di finanza accertò che «i documenti a supporto del presunto pagamento alla Aws erano falsi, che la società svizzera attraverso la quale il pagamento sarebbe stato effettuato era in liquidazione dal 1999, che la banca svizzera asseritamente utilizzata per il pagamento non era più esistente».

Ma l’esperto di Toninelli dopo poche settimane, evidenziano i giudici, «ha sconfessato totalmente tale versione durante l’interrogatorio reso al pm il 1.3 maggio 2005», e la nuova verità «veniva confermata nel giugno del 2006». Nel 2005 il Pm Pietro Errede chiede all’indagato che fine abbiano fatto i 429.492 euro da lui incassati. La risposta di Intrieri è la seguente: «Io avevo un debito con Banca Intesa: di fatto, quindi, hanno appianato il debito».

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E si scusa: «In effetti ho detto delle inesattezze nel precedente interrogatorio, anche perché probabilmente mal consigliato». Nel 2006 il manager conferma il ravvedimento: «Queste somme servirono per ripianare la mia esposizione debitoria nei confronti di Banca Intesa per mie esigenze personali (…) Banca Intesa mi tartassava che dovevo rientrare». Il pubblico ministero domanda: «Lei aveva comunque un rapporto di credito con Aws?». La sincerità della replica quasi spiazza: «No, quella cosa 11 me la sono inventata. (…) la banca mi continuava a telefonare e io non riuscivo a lavorare sereno»

Leggi sull’argomento: L’indagine sull’Air Force Renzi per i 13 milioni spariti

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