La foto di Josepha con i capelli bianchi (ma quelli dello smalto non demordono)

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-10-11

Dopo quasi tre mesi dal suo salvataggio la naufraga salvata dalla Ong Open Arms ha scritto una lettera ai volontari per ringraziarli. I capelli della donna sono diventati bianchi per lo shock subito ma per i sovranisti che hanno inventato la balla delle unghie laccate è tutta un’elaborata messinscena

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Sono passati cento giorni da quando Josepha (o Josefa) è stata salvata tra i rottami di un gommone dai volontari della Ong Open Arms. Era il 16 luglio, la donna sarebbe rimasta in mare, aggrappata a delle assi di legno per quasi ventiquattrore fino a che non fu tratta in salvo dalle imbarcazioni dell’associazione guidata da Oscar Camps, tra loro c’era anche la stella della NBA Marc Gasol. I contorni della vicenda fecero infuriare i sovranisti da tastiera che da allora sostengono si tratti di una macchinazione da parte dei buonisti perché in quel periodo c’era da difendere la guardia costiera libica e l’idea che la Libia fosse un porto sicuro.

Come sta Josepha a cento giorni dal suo salvataggio

A tre mesi di distanza però anche il governo ammette che le cose non stanno così. Qualche giorno fa il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi lo ha detto chiaro e tondo: «in senso stretto e giuridico  la Libia non può essere considerata porto sicuro, e come tale infatti viene trattata dalle varie navi che effettuano dei salvataggi. La nozione di porto sicuro e di Paese sicuro è legata a convenzioni internazionali, che attualmente non sono state tutte sottoscritte dalla Libia». Curioso: è proprio quello che Ong, buonisti e giornalisti ripetono da quando Salvini ha proclamato via social la chiusura dei porti.

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Josepha oggi [Fonte: Avvenire]
Josepha era rimasta in mare accanto al cadavere di un’altra persona e di un bambino, la guardia costiera libica non ha mai chiarito come è avvenuta l’operazione di salvataggio. Ma il semplice fatto di essere una sopravvissuta l’aveva fatta diventare un “nemico”. Qualche giorno dopo il suo salvataggio, mentre la Open Arms navigava alla volta di Maiorca i soliti account dei patridioti iniziarono a diffondere l’ennesima bufala tesa a screditarla e a “spiegare” che era tutta una messinscena.

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Il motivo? In alcune foto scattate a bordo la donna aveva le unghie laccate di fresco. Subito gli ispettori dell’Internet, convinti di aver trovato la pistola fumante. Come poteva una naufraga che era stata in mare per ventiquattrore avere le unghie perfette? Un chiaro segno che era stata messa in acqua giusto il tempo per le foto di rito e inscenare il finto salvataggio.

Quelli che hanno scoperto l’ennesima messinscena dei buonisti

Le cose però non stavano così, perché le unghie erano state dipinte a bordo della Open Arms, per cercare di distrarre Josepha e nel difficile tentativo di tirarle su il morale. Più di qualcuno ha riso, dicendo che quella spiegazione non aveva senso, perché non è così che si tranquillizza una persona che è stata a lungo in mare di fianco a due cadaveri. Ed è vero, la manicure è stata un palliativo. Lo dimostrano le foto pubblicate da Avvenire e Repubblica che ci mostrano Josefa oggi.

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Una donna provata, con i capelli incanutiti che a cento giorni dalla sua terribile esperienza si deve ancora riprendere. Scopriamo ad esempio che solo da poco la donna ha ricominciato a camminare. Eh sì, perché quella che per i sovranisti dell’Internet è in buona sostanza una figurante non riusciva a sentire né le braccia né le gambe e quindi non era in grado di camminare da sola. Marco Mensurati di Repubblica – che è a bordo della nave Mare Jonio in missione nel Mediterraneo – racconta che ieri Josefa ha mandato un messaggio vocale in francese all’equipaggio della Open Arms. Un messaggio breve dove appunto annuncia di aver potuto ricominciare a camminare: «Buon giorno a tutti. Vi penso sempre, vi faccio gli auguri. Quanto a me… volevo dirvi che questa mattina ho finalmente ricominciato a camminare».

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Avvenire ha pubblicato anche il testo di una breve lettera (scritta in inglese) che Josefa ha voluto far recapitare ai volontari. Da nessuna parte dell’articolo c’è scritto che la lettera è scritta da Josepha o che non è stata aiutata da qualcuno a tradurre i suoi pensieri in inglese. Ma tanto basta per sollevare di nuovo il sospetto sull’ennesima messinscena. C’è chi chiede che la donna venga finalmente esibita, in modo che si possa sentire la sua voce e che possa magari rispondere alle domande di chi le vorrebbe chiedere che smalto usa. O forse ora si concentreranno sul colore dei capelli, notando magari che sono stati schiariti artificialmente. Eppure come spiega a Repubblica il medico di bordo della Mare Jonio Roberto Scaini è qualcosa che «Capita spesso  quando le persone vengono sottoposte a forte stress emotivo».

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Ma per i patridioti la spiegazione è un’altra: in questi cento giorni hanno fatto un “corso full-immersion” per ficcare in testa a Josefa “il copione da recitare una volta fuori”. Di nuovo calunnie, ipotesi campate in aria e nemmeno uno straccio di prova. Come per la storia dello smalto alla fine quello che conta è screditare un testimone. Dimenticando che però Josepha non è l’unica ad aver vissuto quell’esperienza, dimenticando le migliaia di persone morte nel Mediterraneo e quelle detenute nelle carceri libiche dove vengono violentate, picchiate o vendute come schiave.

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Non si capisce però come si possa conciliare il fatto di aver sostenuto che Josefa non era una vera naufraga perché aveva le unghie smaltate e non aveva le mani “spugnose” con un più recente tweet la stessa esperta di complotti marittimi e collaboratrice del Primato Nazionale spiega che anche il bambino a bordo del relitto avrebbe potuto essere salvato dai “sedicenti umanitari”. Allora non è stata una messinscena e davvero c’era una gommone là dove indicato dalle Ong, dal deputato Erasmo Palazzotto, dai giornalisti che erano a bordo e addirittura dalla stessa guarda costiera libica che ha ammesso di aver ricevuto una chiamata dal mercantile Triades che per primo lo aveva avvistato?

Foto di copertina fonte: Repubblica del 11/10/2018

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