Attualità
Il Fatto e l’ipocrisia del M5S in mutazione genetica su ENI
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2018-12-22
Marco Lillo all’attacco: prima chiedevano le dimissioni, ora minimizzano tutto su ENI
Marco Lillo sul Fatto Quotidiano di oggi mette nel mirino il MoVimento 5 Stelle e l’ipocrisia dei grillini su ENI e il caso Descalzi. L’inviato del Fatto racconta che nel 2014 Alessandro Di Battista e il M5S chiedevano le sue dimissioni perché considerato uomo di continuità rispetto a Paolo Scaroni. Oggi che la moglie Madeleine Ingoba è chiamata in causa dai Panama Papers (la società Petro Service Congo, che aveva rapporti commerciali con Eni, era domiciliata a Point Noire, presso la stessa casella postale dove era domiciliata la Elengui Ltd, società offshore della donna) il M5S difende improvvisamente l’amministratore delegato di ENI:
Il punto politico quindi è che il gruppo Petro Service, che faceva capo fino al 2014 alla moglie di Descalzi, avrebbe affittato navi e logistica dal 2012 al 2017 per 105 milioni di dollari al gruppo Eni del quale lui era numero due fino al 2014 e oggi è numero uno. La moglie nega tutto. Eni fa sapere che sta facendo verifiche interne. E il governo? E il M5S? E Di Battista?
Il caso Eni certifica la mutazione genetica del M5S. Quando Descalzi non era nemmeno indagato e sugli affari della moglie non era uscito nulla, Di Battista chiedeva le dimissioni. Ora preferisce il silenzio. Il Fatto non ha cambiato idea. Come con Renzi, ieri ha chiesto in conferenza stampa al presidente del Consiglio Conte cosa intenda fare di fronte alle notizie del Corriere su Lady Descalzi.
La risposta è davvero imbarazzante per il M5S. Al nostro Manolo Lanaro, Conte replica: “Lei mi parla di vicende personali della moglie di Claudio Descalzi, io credo che la responsabilità penale sia personale e fino a quando non verranno accertati fatti penalmente rilevanti nei confronti dell’amministratore dell’Eni, Descalzi avrà la mia fiducia”.
Conte confonde la responsabilità penale con quella politica e il conflitto di interessi con i reati. Descalzi si deve dimettere perché si sospetta che la sua azienda abbia pagato dal 2012 al 2017 ben 105 milioni di dollari a un gruppo che era controllato –secondo atti pubblicati dal Corriere ma smentiti dalla moglie – fino al 2014 dalla signora Descalzi. Non sappiamo se questo sia vero,ma sostenere che sia una questione personale della signora Descalzi è una boiata pazzesca.