I due miliardi che il governo vuole mettere nel ponte sullo Stretto di Messina

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-10-03

Fino ad oggi si era immaginato un finanziamento con il modello del project financing: le imprese anticipano i soldi necessari e poi si rifanno negli anni con i pedaggi. Ora si pensa ai fondi europei per coprire metà del costo dell’opera

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Il governo vuole investire due miliardi di euro di fondi europei nella grande opera incompiuta per eccellenza italiana: il ponte sullo Stretto di Messina. Dopo le dichiarazioni di sabato scorso del ministro Graziano Delrio e il punto dell’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato Renato Mazzoncini, che ha immaginato una liquidità necessaria pari a 3,9 miliardi di euro, ecco spuntare i “soldi pubblici”.

I due miliardi che il governo vuole mettere nel ponte sullo Stretto di Messina

Fino ad oggi si era immaginato un finanziamento con il modello del project financing: le imprese anticipano i soldi necessari e poi si rifanno negli anni con i pedaggi. Una soluzione che però aveva un neo: questo avrebbe dovuto avviare un confronto con le banche che avrebbero dovuto finanziare l’opera, certamente non per beneficenza: con il costo degli interessi da corrispondere agli istituti di credito il prezzo complessivo dell’opera andava a raddoppiare. Per questo, scrive oggi il Corriere, l’esecutivo ha pensato a un piano che coinvolge i fondi europei:

Nasce da questo calcolo l’idea del governo, annunciata dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, di un intervento diretto dello Stato. Lo stanziamento per il Ponte si dovrebbe aggirare intorno ai 2 miliardi di euro. La metà del costo vivo. Per capire meglio come stanno le cose bisognerà aspettare ancora qualche mese, con la presentazione dello studio di fattibilità. Ma si sta approfondendo anche l’ipotesi di utilizzare fondi europei, visto che il Ponte è un pezzo del corridoio Napoli-Palermo, considerato fondamentale da Bruxelles per lo sviluppo del Sud d’Italia e d’Europa. Soldi pubblici, nazionali ed europei. Il tutto per escludere o limitare al massimo la partecipazione diretta dei privati e quel modello di project financing, spesso invocato per esorcizzare la mancanza di fondi pubblici. E che non ha sempre dato buona prova di sé. Anzi.
Una ricerca della Bocconi di qualche anno fa diceva che le opere realizzate con il project financing, o finanza di progetto per chi preferisce l’italiano, falliscono nell’88% dei casi. Ma anche quando si arrivare al l’inaugurazione non tutto fila liscio. Spesso l’opera finisce per scaricare indirettamente sul pubblico quei costi che il privato dovrebbe recuperare con la gestione e gli incassi. E questo perché viene sovrastimato il livello di utilizzo dell’opera e il relativo flusso dei pedaggi. Un rischio che, evidentemente, ci sarebbe anche per il Ponte sullo Stretto. L’intervento diretto dello Stato, in compartecipazione con Bruxelles, sarebbe un modo per eliminare questa incognita. Ma prima c’è un altro nodo da sciogliere, che riguarda sempre il rapporto fra pubblico e privato.

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Ponte sullo Stretto di Messina, i numeri dell’opera (Corriere della Sera, 3 ottobre 2016)

Quando ha annunciato l’ideona, Renzi parlava durante la cerimonia per i cento anni di Salini-Impregilo, ovvero la capofila di quel pool di imprese che aveva stipulato un contratto con il governo italiano per la costruzione del ponte (l’esecutivo ha approvato un progetto definitivo nel luglio 2011) e che ha chiesto un risarcimento danni  pari a 790 milioni di euro. Il consorzio Eurolink, formato da Salini-Impregilo, Sacyr e Harima, partecipò a una gara lanciata nel 2004 e vinta a fine 2005 per un importo pari a 3,8 miliardi di euro: il contratto venne firmato il 27 marzo 2006. Poi alle successive elezioni vince Prodi e blocca i fondi pubblici per l’opera. Quando torna in sella Berlusconi i fondi vengono di nuovo stanziati, mentre il progetto definitivo viene consegnato nel 2011 e approvato dalla Società Stretto di Messina, a partecipazione totale IRI, nel luglio 2011. Manco a dirlo, nel frattempo i costi sono lievitati e l’ammontare totale viene aggiornato a poco più di cinque miliardi. La gara lanciata nel 2004 è stata vinta a fine 2005 e il contratto firmato per 3,8 miliardi il 27 marzo 2006. Prodi vince le elezioni e tra le prime cose che fa (Dl 262/2006) c’è la revoca dei fondi pubblici all’opera e l’operazione viene congelata. Torna Berlusconi e si riparte, con imprese invitate a progettare e fondi ristanziati nel 2009. Il progetto definitivo viene consegnato da Eurolink nel dicembre 2010, e approvato dalla Stretto di Messina nel luglio 2011. Il valore del contratto viene poi aggiornato a 5,215 miliardi. Poi lo stop con Monti e la richiesta di danni per 700 milioni di euro – ma per l’Avvocatura di Stato se ne rischierebbero al massimo 30. E adesso?

Leggi sull’argomento: Cosa c’è dietro la sparata di Renzi sul Ponte sullo Stretto di Messina

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