Don Antonello Tropea: il prete pedofilo coperto dal vescovo

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-12-20

Lo racconta il Dispaccio: il vescovo avrebbe coperto il suo prete senza adottare “provvedimenti cautelativi né di minima verifica delle accuse rivolte all’indagato”. Il giudice non lo indaga. Anche se lui consigliava anche di non parlare con i carabinieri

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Il vescovo Oppido Mamertina-Palmi, monsignor Francesco Milito ha coperto Don Antonello Tropea, un prete pedofilo arrestato sabato per per adescamento di minorenni e pedopornografia e che faceva il parroco della piccola chiesa della frazione Messignadi di Oppido Mamertina. Lo scrive il giudice per le indagini preliminari Antonio Scortecci nell’ordinanza che ha portato in carcere il prete. Ordinanza che contiene anche gravi accuse sulla connivenza del vescovo, pur non indagato.

Don Antonello Tropea: il prete pedofilo coperto dal vescovo

Il contenuto dell’ordinanza è sintetizzato dal Dispaccio, che in un articolo a firma di Claudio Cordova: il vescovo avrebbe coperto il suo prete senza adottare “provvedimenti cautelativi né di minima verifica delle accuse rivolte all’indagato”. È per questo che il giudice non si fida di lui. E nel rigettare l’ipotesi degli arresti domiciliari per don Antonello, il Gip aggiunge che “neppure sarebbe tranquillizzante” se a trovare un altro luogo nel quale far scontare la detenzione fosse il vescovo che ha avuto “atteggiamenti particolarmente prudenti e conservativi dello status quo, dando pieno credito alla versione negatoria dello stesso accusato”. Nel corso di un’accurata perquisizione disposta dall’Autorità Giudiziaria, gli investigatori della Polizia di Stato hanno sequestrato all’indagato dei sexy toys, numerosi files relativi ad immagini e video a sfondo omosessuale, anche autoprodotti, e numerose chat con richieste di incontri sessuali, con soggetti minori o con adulti, a pagamento e non, alcuni dei quali consumati.

Inizia tutto con un controllo occasionale della Polizia di Stato che, in una zona buia dell’area industriale di Gioia Tauro, il 16 marzo scorso, trova a bordo di un’autovettura, il prete Antonio Tropea, 44enne, e un minorenne. In uno zaino, gel lubrificante, salviettine imbevute, fazzoletti e un rotolo di carta. Il contesto appare chiaro, ma le indagini iniziano in modo serrato: il minorenne racconterà di aver conosciuto il prete tramite un’applicazione del proprio smartphone, Grinder. Il sacerdote si sarebbe presentato come un ricercatore scientifico, fornendo solo un nome di battesimo, Nicola. Lo stesso ragazzo dichiarerà di aver concordato con l’uomo un incontro su What’s-app e di aver ricevuto da lui un compenso di 20 euro per un rapporto sessuale orale consumato in macchina poco prima che i poliziotti li controllassero.

Don Antonello si presentava con il nome di Nicola, lo stesso del patrono della sua parrocchia, San Nicola di Mira. L’approccio era esplicito e gli incontri avvenivano in auto, anche se i poliziotti hanno documentato che persino la canonica era stata utilizzata dal prete. La parte più interessante riguarda però il comportamento del vescovo:

Ma dalle conversazioni intercettate emergerebbe anche il comportamento assunto dal vescovo della Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, monsignor Francesco Milito, che, consigliava a don Antonello “di evitare di parlare con i Carabinieri di queste cose e, in generale, con nessun appartenente alle forze dell’ordine, poiché questi non si limitano a parlare amichevolmente come stanno facendo loro, ma potrebbero redigere un promemoria che potrebbe far degenerare le cose”. E’ il 15 luglio del 2015. Parleranno diverse volte don Antonello e il vescovo Milito. Il prete accusato di rapporti sessuali con minori proverà a giustificare la propria posizione a screditare le chiacchiere e il vescovo gli risponderà “che a maggior ragione è meglio evitare che ci parlino i Carabinieri e che sarebbe meglio che ci parlasse lui anche perché facendo così la gente del paese non potrà dire che ha lasciato correre, ma dirà che per risolvere la situazione ha fatto tutto quello che poteva fare”.
I due, insomma, sembrano concordare una strategia: il vescovo consiglierà a don Antonello di andare dai genitori e “parlare con la massima tranquillità”. Il 7 agosto è di nuovo il vescovo Milito a parlare direttamente con don Antonello, che minimizza le voci ricorrenti sul proprio conto. Parlano delle chiacchiere delle suore. Ma il vescovo rassicurerebbe il parroco : “Lascia perdere questo perché non… la cosa gravissima non è, è questo pettegolume di suore. Tu piomba subito e glielo puoi dire, io mi sono incontrato col Vescovo, il vescovo ci è rimasto proprio… (incomprensibile)”.
Infine, il 19 settembre, due giorni dopo la perquisizione nel corso della quale verrà trovato in casa del prete diverso materiale utile alle indagini, don Antonello confiderà a un amico di aver riferito tutto (“sia il reato che gli viene contestato e sia quello che gli è stato sequestrato”) al vescovo, chiedendogli, ove lo ritenesse opportuno, la sospensione a divinis, ma di aver ricevuto dal suo superiore l’invito a continuare a fare ciò che faceva prima dell’atto della polizia giudiziaria.

Tra i documenti rinvenuti nell’abitazione di don Antonello verrà trovata anche una copia della lettera delle sue dimissioni indirizzata al vescovo già nel 2010.

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