Economia
De Benedetti e la vera storia della speculazione sulle banche popolari
Alessandro D'Amato 18/12/2015
Il MoVimento 5 Stelle ha citato l’ingegnere ed editore di Repubblica tra quelli che avrebbero fatto strani movimenti di azioni prima del decreto sul voto capitario. Dove ha reperito l’informazione?
In un articolo a firma di Nicola Porro il Giornale lunedì scorso ha raccontato di un’indagine della Guardia di Finanza a proposito di una plusvalenza di 600mila euro ottenuta dalla Romed di Carlo De Benedetti, editore tra l’altro di Repubblica. Sostiene Porro:
In una trentina di pagine le Fiamme gialle descrivono i movimenti borsistici sui titoli di quattro banche popolari, realizzati dalla Romed, la cassaforte finanziaria di Carlo De Benedetti. L’inchiesta è solo alle fasi iniziali, nonostante siano passati undici mesi dalle operazioni di Borsa, ma si preannuncia esplosiva. Sono indicate puntualmente una lunga serie di operazioni sospette, la sintesi delle conversazioni telefoniche tra l’Ingegnere e i suoi operatori della Romed. Riguardano la movimentazione di titoli delle banche popolari per cinque-sei milioni di euro e una plusvalenza realizzata di circa 600mila euro.
De Benedetti e la vera storia della speculazione sulle Banche Popolari
Porro scrive che Carlo De Benedetti all’inizio di gennaio (e quindi prima della conferenza stampa del 20 gennaio in cui Matteo Renzi annunciò la riforma del voto capitario per questi istituti) ha comprato e venduto i titoli delle banche popolari; sempre secondo Porro in una serie di intercettazioni l’ingegnere ed editore di Repubblica si vanta di aver saputo della riforma da ambienti vicini a Bankitalia:
Romed compra e vende titoli in Borsa. E all’inizio del 2015, scopre la Consob, lavora molto sui titoli di quattro popolari. Bingo. I funzionari della Consob chiedono aiuto alla Guardia di finanza. Come prima cosa avrebbero acquisito tutte le registrazioni tra gli operatori di Borsa in sala operativa Romed e non solo. È qui che compaiono le telefonate dell’Ingegnere ai suoi uomini in cui si chiederebbe direttamente di investire in popolari. Il decreto del governo ancora non c’è. Ma l’Ingegnere sosterrebbe di essere stato informato, tra gli altri, anche da ambienti vicini a Bankitalia.
Giustamente Porro dice che potrebbe essere un caso di millantato credito: ovvero De Benedetti potrebbe aver ottenuto l’informazione da altre vie e aver giustificato con i suoi le mosse chiamando in causa Bankitalia. C’è ovviamente un passaggio logico che Porro NON fa, ma che a molti potrebbe venire in mente. Ovvero che De Benedetti, tessera numero uno del PD eccetera, avesse saputo da ambienti governativi del decreto sulle banche popolari in preparazione. Questo costituirebbe una certificazione clamorosa di conflitto d’interesse e impegnerebbe l’ingegnere in un’accusa di reati gravissimi insieme a chi avrebbe fornito l’informazione. La stessa circostanza – con accuse e sospetti – è stata adombrata nella mozione di sfiducia nei confronti di Maria Elena Boschi dal MoVimento 5 Stelle oggi alla Camera. Ma c’è un però grosso come una casa nei confronti di questa ipotesi di complotto che il Giornale non scrive ma adombra nei confronti di De Benedetti.
L’articolo di Repubblica che smentisce Porro e De Benedetti
Come abbiamo scritto in altre occasioni, tutti dimenticano che la storia della riforma delle banche popolari venne anticipata da un quotidiano, 17 giorni prima della sua approvazione e guarda caso proprio il 3 gennaio (evidentemente proprio quando Romed ha cominciato a “lavorare molto sui titoli di quattro popolari”, come scrive Porro). Quel quotidiano non è esattamente un giornale completamente estraneo all’ingegner De Benedetti, visto che è di sua proprietà. Si tratta infatti di Repubblica del 3 gennaio (sabato, quindi a mercato chiusi; anche il primo gennaio i mercati erano chiusi):
Insomma, se per caso la “speculazione” di De Benedetti si è mossa ai primi di gennaio (quindi, presumibilmente, dal 5 gennaio in poi) in effetti De Benedetti millantava quando diceva che Bankitalia gli aveva spifferato l’informazione della riforma in arrivo. Perché l’ingegnere era stato invece probabilmente informato, insieme a un milione di altre persone, dall’articolo di Repubblica, giornale di cui è editore:
Ecco che allora nasce la necessità per l’attuale governo e per la Bce di mettere a punto finalmente una legge o una direttiva che permetta ad alcuni importanti gruppi bancari italiani di lasciarsi alle spalle la contraddittoria organizzazione degli istituti cooperativi, non adatta a società quotate in Borsa. Il tema è già da qualche tempo all’attenzione di Renzi che sta raccogliendo pareri al riguardo da giovani uomini di finanza con l’obbiettivo di portare avanti la bandiera dello svecchiamento del sistema anche in campo bancario.
Ma è ovvio che per arrivare all’obbiettivo il governo dovrà appoggiarsi anche alla moral suasion della Bce, che da nuovo regolatore del sistema non può permettersi rischi non controllabili. Alcune delle banche popolari, tra l’altro, sono già sotto il controllo della vigilanza di Draghi che potrebbe trovare il coraggio che in passato è mancato alla Banca d’Italia. Inoltre con la trasformazione in spa di alcune popolari potrebbero partire altre aggregazioni importanti come Bpm-Carige che il mercato aspetta con interesse. Dunque gli osservatori finanziari si attendono un qualche provvedimento governo-Bce sulle popolari entro marzo proprio per fugare i dubbi che alcune banche italiane possano diventare un problema per l’Unione Europea.
In attesa delle risultanze delle indagini, e quindi fino all’emersione di una prova contraria, che qualcuno abbia ricevuto un’informazione riservata quando la presunta informazione riservata stava scritta sui giornali pare un’ipotesi peregrina: va bene che c’è la crisi dell’editoria, ma non vi pare di esagerare?