La crisi fa male anche alla salute (ma più al Sud che al Nord)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-12-30

Il Mezzogiorno ha tre anni e mezzo di speranza di vita sana in meno. In molti rinunciano a ricevere prestazioni sanitarie per motivi economici

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Linda Laura Sabbadini sulla Stampa di oggi firma un articolo in cui gli anni della crisi abbiano incrinato la salute più al Sud che al Nord: oggi il Mezzogiorno ha tre anni e mezzo di speranza di vita sana in meno: in molti rinunciano a ricevere prestazioni sanitarie per motivi economici.

Il benessere psicologico e mentale è peggiorato non solo in Italia ma anche in altri Paesi, come la Grecia e la Spagna. Riguarda di più le persone con istruzione bassa, minori risorse economiche, senza impiego stabile, in condizioni abitative precarie, e quelle che vivono nel Mezzogiorno. Il malessere psicologico è cresciuto tra i giovani in questi anni, e tra gli adulti più che tra gli anziani, soprattutto tra i maschi, anche perché questi sono stati più colpiti dalla crisi. Si evidenzia un’associazione tra condizione precaria nel lavoro, disoccupazione e peggiore stato di salute mentale. Una relazione presente anche prima della crisi, ma che si estende come platea, visto che i disoccupati sono aumentati.
A ciò va aggiunto che la speranza di vita ha rallentato la sua crescita, e continua ad essere distante quella del Nord da quella del Sud, un anno in più nel Nord e 3,6 anni se si considera il numero di anni vissuti in buona salute. Viviana Egidi, ordinaria di Statistica sanitaria di Roma, in una recente e bella relazione su salute e crisi a partire dal 1929 in occasione dei 90 anni della nascita dell’Istat, ha illustrato l’andamento di alcuni indicatori di salute. Ebbene, dall’analisi si evinceva che la tendenza è ad un peggioramento di tutti gli indicatori di salute del Mezzogiorno.

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La crisi fa male alla salute (La Stampa, 30 dicembre 2016)

D’altro canto secondo l’Istat l’ 11% della popolazione ha rinunciato a prestazioni sanitarie o a farmaci nel 2013, pur avendone bisogno. Gran parte lo ha fatto per motivi economici, 2 milioni 600 mila persone, di cui 1 milione 800 mila donne. La rinuncia è tre volte più elevata per chi ha risorse scarse o insufficienti ed è ancora più alta al Sud e soprattutto nelle regioni soggette a piani di rientro, dove l’aumento dei ticket ha ridotto l’accesso ai livelli essenziali di assistenza. Il nostro Paese ha raggiunto una posizione avanzata sulla salute, sia per i suoi stili di vita più salutari (dieta mediterranea, consumo moderato di alcool ai pasti), sia grazie al nostro sistema sanitario. Il sistema sembrerebbe, tutto sommato, aver retto alla crisi. Ma attenzione, i segnali negativi vanno colti in tempo. La rinuncia ad alcune prestazioni da parte di segmenti importanti della popolazione non è rinuncia complessiva alla cura, e ai percorsi di assistenza, ma potrebbe diventarlo per i settori più vulnerabili e penalizzati, in un quadro di mancanza di equità nella salute.

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