Economia

Cosa c'è dietro la strategia del coniglio mannaro di Renzi contro Bruxelles

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-10-16

«Bruxelles non è il nostro maestro che fa l’esame. Basta con la sudditanza psicologica», dice il premier. Ma perché Renzi attacca l’Unione Europea? Cosa c’entra il Fiscal Compact? E cosa rischia l’Italia, nel caso?

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A sentirlo parlare c’è da riscrivere i libri di storia. Già ieri durante la conferenza stampa di presentazione della Legge di Stabilità 2016 e soprattutto oggi in un’intervista rilasciata a Radio24 Matteo Renzi gliele ha cantate (cit.) all’Unione Europea: «Bruxelles non è il nostro maestro che fa l’esame. Non ha titolo per entrare nel merito delle misure. Può dare suggerimenti, ma basta con la sudditanza psicologica. Ogni volta che parla il portavoce di terzo rango di un vicecommissario aggiunto i media rilanciano la dichiarazione dicendo che ”Bruxelles dice”. L’Italia dà molti soldi all’Europa e anche sul rispetto dei parametri inviterei a guardare i dati del deficit di altri paesi». Il premier ha indicato la Spagna, che sfora il 3% e la Gran Bretagna che «quest’anno ha fatto il 5% del deficit» ed ha approvato «una riduzione di tasse da 20 miliardi finanziata in gran parte con il deficit». «Tecnicamente poi, non c’è trattativa: se anche Bruxelles bocciasse la manovra un governo può confermarla e rimandarla così».
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Cosa c’è dietro la strategia del coniglio mannaro di Renzi contro Bruxelles

A cosa si riferisce Matteo Renzi quando se la prende con il rispetto dei parametri europei? Per comprendere di cosa si stia parlando bisogna dare un’occhiata alle coperture della Legge di Stabilità 2016. Dalla tabella che vedete qui sotto si evince che la flessibilità UE copre per 14 miliardi e seicento milioni (su 26,5 miliardi totali a parte la clausola migranti) gli impegni del governo nella riduzione delle tasse e nell’eliminazione delle clausole di salvaguardia. Per il resto le entrate comprendono 2 miliardi dalla voluntary disclosure, un miliardo dall’aumento delle imposte sui giochi e da nuovi giochi, e 5,8 miliardi dalla spending review, che per ora ha soltanto però ridotto le centrali di acquisto senza toccare le tax expeditures come sembrava intenzione del governo. “Ballano” 3,7 miliardi di ulteriori efficientamenti della spesa non meglio precisati. Di fatto la spending è dimezzata – e Roberto Perotti ne ha preso atto e si è dimesso – e per un motivo che lo stesso Renzi si è lasciato scappare durante la conferenza stampa. Ovvero: la percezione del taglio delle agevolazioni fiscali, come quello degli “esami inutili” in sanità, rischia di essere percepito da parte dell’elettorato come una specie di “do con una mano e prendo con l’altra”, visto che i cittadini si troverebbero a pagare più tasse per la mancanza di agevolazioni, ad esempio, proprio mentre annullano la Tasi e l’Imu. Un effetto che in primo luogo metterebbe in cattiva luce il suo governo (e questa è probabilmente la motivazione che gli preme di più) e in secondo luogo sicuramente frenerebbe l’effetto espansivo per il quale la manovra è stata scritta. Renzi, che è tornato a fare battute anche ieri sugli italiani “che nascondono i soldi in banca”, punta sulla maggiore crescita e sul driver dei consumi, e quindi cerca di evitare effetti economici che invece sarebbero causa di una contrazione degli stessi. E qui si innesta la polemica nei confronti dell’Unione Europea sul deficit. Polemizzare con l’UE infatti ha una motivazione politica scoperta: quella di incrementare il consenso interno, visto che nel Belpaese, così come nel resto d’Europa, l’Unione viene vista come un freno alle politiche espansive e alla spesa pubblica. Ma ha anche una motivazione economica ben scoperta, spiegata oggi da Federico Fubini sul Corriere della Sera:

Con questo deficit programmato, la matematica dice che per ottenere una discesa anche solo dello 0,1% nel rapporto fra debito e reddito nazionale (Pil) nel 2016, occorre un’inflazione almeno dello 0,8% con una crescita economica dell’1,6%. Ma ammesso che la crescita economica arrivi davvero all’1,6% – è la previsione del governo, più rosea di quella di quasi tutti gli analisti – oggi l’inflazione procede a zero o addirittura è negativa. È dunque verosimile che il debito continuerà a salire anche adesso che c’è la ripresa. Ma la politica dei rapporti di nuova generazione con Bruxelles è un’altra storia. E Renzi, come al solito, mostra di averla capita in pieno.

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La tabella del Sole 24 Ore che riepiloga impieghi e coperture della Legge di Stabilità 2016

Un impegno concreto: rottamare il fiscal compact

Di cosa sta parlando Fubini? In estrema sintesi si riferisce all’altro parametro di Bruxelles che l’Italia deve rispettare. Che non è quello di Maastricht, il famoso e “stupido” 3% che l’Italia rispetta e Francia e Spagna no. Ma è invece un parametro del Fiscal Compact. Che prevede l’obbligo di pareggio di bilancio di cui si parla tanto spesso, ma anche, oltre a un richiamo alla regola di Maastricht, l’obbligo di ridurre il rapporto deficit/PIL di un ventesimo l’anno a partire dal 2016 e, soprattutto, il vincolo dello 0,5 di deficit “strutturale” – quindi non quello legato a emergenze – rispetto al prodotto interno lordo. Attenzione, però. I rapporti si possono ridurre in due modi: diminuendo il numeratore o aumentando il numeratore. Ovvero, si può ridurre il rapporto deficit/PIL o diminuendo il deficit o aumentando il PIL. Il PIL nominale, ovvero quello non depurato dall’inflazione:

Si può calcolare facilmente che per rispettare la regola di 1/20, con un debito al 120 per cento del Pil e il pareggio di bilancio è sufficiente che il Pil nominale cresca del 2,5 per cento; con un debito al 100 per cento del Pil basta una crescita nominale del 2 per cento; con un debito all’80 per cento è sufficiente l’1,25 per cento. In tempi appena normali sono valori bassi. Perché si verifichino basta un po’ di inflazione.

Ovviamente questo ragionamento vale per i tempi in cui l’inflazione c’è e non c’è la peggiore recessione da cui bisogna uscire. In questo caso le cose cambiano, e il 2% di inflazione possiamo scordarcelo. Per questo, come spiegava Fubini, bisogna puntare a una crescita dell’1,6% e a un’inflazione dello 0,8% per riuscire a ottenere il calo del rapporto deficit/pil (nominale). Questo è il parametro che Renzi ha puntato e che vorrebbe rottamare. O meglio: questo è il parametro che potrebbe nel caso costituire occasione di scontro a Bruxelles, visto che l’Italia, con questi conti e questi saldi, rischia di sforare. E a Bruxelles lo sanno benissimo. Ma sanno anche che arrivare all’apertura di una procedura di infrazione contro un paese come l’Italia e dopo averla elogiata per altri motivi darebbe il via a uno scontro interno e soprattutto aggiungerebbe benzina sul fuoco dell’euroscetticismo che anche il premier, fiutando l’aria, ha cominciato a cavalcare. Di qui la strategia del coniglio mannaro che Renzi attua nei confronti di Bruxelles: è così aggressivo perché sa bene che difficilmente i suoi interlocutori saranno aggressivi. Fa la voce grossa mentre gli altri non sono dell’umore per farla. Teoricamente, qualcosa di leggermente più raffinato di un bluff. Nella pratica, la bontà della strategia di crescere a deficit puntando sui consumi (invece che sugli investimenti) di fronte a una crescita mondiale fragile e in pericolo verrà decretata soltanto tra qualche tempo. Quando gli eventuali danni saranno ormai fatti. 
Foto copertina da Antimafia2000
 

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