Contaminazione da PFAS in Veneto: analisi per 250 mila persone

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-04-21

Le analisi a campione confermano che i cittadini di 29 comuni veneti tra le province di Verona, Padova e Vicenza sarebbero stati contaminati da sostanze perfluoroalchiliche sversate in acqua dalla Miteni (ex Rimar) di Trissino

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È senza dubbio presto per parlare del Veneto come di una nuova terra dei fuochi, ma non bisogna fare finta di non sapere che tutti quegli insediamenti industriali nati senza una precisa pianificazione urbanistica (e quindi dell’impatto ambientale) quando la regione era la Locomotiva del  Nord Est prima o poi presenteranno il conto in termini di salute per l’ambiente e per la popolazione. A costituire oggi motivo di viva preoccupazione in Veneto non sono però i roghi di sostanze inquinanti ma la contaminazione delle acque dovuta ai PFAS, le sostanze perfluoroalchiliche utilizzate durante la produzione dei rivestimenti delle pentole antiaderenti o gli indumenti in Goretex.

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L’area interessata dall’inquinamento dovuto ai Pfas (fonte: Arpa.veneto.it)

La causa della contaminazione ambientale

Della scoperta dell’inquinamento del sistema delle falde acquifere che coinvolge 31 comuni (poi ridotti a 29 dopo l’esclusione di Trissino e Montebello) nelle province di Vicenza, Padova e Verona dovuto allo sversamento trentennale (“consentito” perché non c’erano e non ci sono limiti di legge sugli scarichi) di sostanze inquinanti da parte dell’azienda Miteni di Trissino avevamo parlato qui, quando dopo un’interrogazione al Consiglio Regionale fatta dal consigliere PD Andrea Zanoni le autorità sanitarie regionali furono spinte a fare maggiore chiarezza sulla contaminazione delle acque potabili dovuta a PFAS e PFOA, sostanze chimiche con caratteristiche persistenti, bioaccumulabili e tossiche classificate come cancerogene di livello 2b che inoltre alterano il normale funzionamento del sistema endocrino (per questo vengono chiamati anche interferenti endocrini) e quindi con la regolazione della produzione di ormoni e il normale funzionamento del sistema ormonale. A dire il vero alle autorità di controllo regionali la questione dell’inquinamento era nota da tempo; nel 2013 l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale (ARPAV) aveva pubblicato un’indagine compiuta in seguito di una comunicazione da parte del Ministero dell’Ambiente sullo stato dell’inquinamento da sostanze perfluorocalchiliche nelle provincie di Vicenza, Padova e Verona individuando la sorgente della contaminazione in corrispondenza dell’area di pertinenza dello stabilimento chimico Miteni Spa di Trissino dalla quale tramite il torrente Agno si propaga il flusso di contaminazione in falda. Le analisi del 2013 avevano dimostrato che il flusso di propagazione in falda si sviluppa dal comune di Trissino (nel vicentino) per poi aprirsi in due (una verso est e una verso sud) in prossimità di Montecchio. La propagazione pare essere avvenuta sia tramite i corsi d’acqua superficiali che quelle sotterranei. Sono decenni che le sostanze inquinanti, utilizzate per trattare prodotti in Goretex e Teflon, potrebbero essere finite nel ciclo alimentare umano: una volta contaminate le falde acquifere i PFAs possono entrare nella catena alimentare e per questo sono stati analizzati numerosi alimenti destinati al consumo umano sia di origine animale che vegetale. Le dimensioni del fenomeno di contaminazione avevano spinto l’ARPAV a parlare di valenza europea, stiamo parlando di un’area di estensione superiore ai 150 km² che interessa circa 350 mila persone. Il problema non riguarda la rete idrica pubblica ma i pozzi privati dai quali viene attinta l’acqua per l’uso domestico e l’irrigazione dei campi.
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Le analisi confermano che la contaminazione dell’uomo c’è stata

Il pericolo era che oltre alle acque fossero stati contaminati anche i prodotti agricoli irrigati con le acque contaminate. In questo modo i PFAS avrebbero potuto entrare nella catena alimentare e contaminare anche l’uomo. In post pubblicato ieri sul suo blog Andrea Zanoni dà notizia che questa contaminazione è realmente avvenuta. La Regione Veneto ha infatti resi noti i risultati delle analisi del sangue effettuate su un campione di 507 cittadini, 257 residenti nei comuni all’interno dell’area esposta alla contaminazione definiti “ad esposizione incrementale” (Montecchio Maggiore, Lonigo, Brendola, Creazzo, Altavilla, Sovizzo, Sarago) e 250 abitanti di altrettanti comuni veneti di un’area definita “di controllo” (Mozzecane, Dueville, Carmignano, Fontaniva, Loreggia, Resana, Treviso); tutti i soggetti dovevano essere residenti nell’area da almeno dieci anni. Mancano invece i risultati delle analisi di quei 120 campioni prelevati agli operatori delle aziende zootecniche ovvero coloro che lo studio considera le persone maggiormente esposte al rischio di contaminazione.
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Ciononostante gli esiti dello studio sono tutt’altro che confortanti, per nove delle sostanze analizzate (PFBA, PFPeA, PFBS, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFOA, PFOS e PFDoA) le concentrazioni de l siero dei residenti in sei Comuni a esposizione incrementale sono risultate significativamente superiori(p<0.05) a quelle dei residenti dei comuni dell’area di controllo. Ma a preoccupare maggiormente è il fatto che nel sangue dei soggetti residenti nella fascia esposta siano state rilevate concentrazioni di PFOA mediamente dieci volte superiori a quelli dei cittadini della zona di controllo. Per questo motivo la Regione Veneto ha deciso di sottoporre a uno screening dei marcatori tumorali 250 mila cittadini residenti nei comuni ritenuti esposti alla contaminazione. Al momento si ritiene che l’acqua degli acquedotti sia sicura, anche se l’Arpav sta studiando ulteriori misure precauzionali per ridurre i rischi di contaminazione. A dover essere abbeverati con acqua potabile saranno anche gli animali da allevamento, per evitare che i contaminanti presenti nelle falde e nei pozzi possano entrare nella catena alimentare. Non è stato invece chiarito quale sia la procedura da dover utilizzare per l’irrigazione dei campi e delle coltivazioni. Resta soprattutto da sciogliere il noto delle responsabilità e quindi di chi debba pagare: la Regione, i comuni e i cittadini sono da considerare parte lesa, ma non è nemmeno possibile procedere nei confronti della Miteni (all’epoca si chiamava Rimar di proprietà della famiglia Marzotto) perché tutte le operazioni erano “in regola” (in mancanza di regolamenti specifici). Ora l’azienda invece starebbe operando entro i limiti del regolamento regionale. Una possibilità, ha spiegato l’Assessore regionale alla Sanità Luca Coletto, sarebbe quella di dichiarare l’area contaminata Sito di Interesse Nazionale per le procedure di bonifica, ma per farlo è necessario l’intervento del Governo e del Ministero dell’Ambiente. A margine va rilevata la polemica politica della Giunta che ha preferito bypassare il Consiglio Regionale (dove era stata presentata un’interrogazione) per comunicare la notizia direttamente ai giornalisti. Evidentemente a Palazzo Balbi qualcuno vuole evitare che si discuta troppo sulle responsabilità politiche della situazione e della lentezza delle indagini.
 

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