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Il mistero della bimba morta per malaria all'ospedale di Brescia

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-09-06

«Non so se saremo in grado di dare una spiegazione all’accaduto», confessa il primario di pediatria di Trento. Dove un bambino che si trovava nella stessa stanza di Sofia Zago non ha manifestato segni di malattia. Il parassita è lo stesso dei due fratellini del Burkina Faso, ma manca l’analisi del ceppo. E non ci sono state trasfusioni. Le indagini sono in salita. Perché ora trovare le prove è di fatto impossibile

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«Non siamo preoccupati del fatto che possano avvenire contagi. Ma ci vuole una spiegazione per quanto accaduto e non so se saremo in grado di trovarla»: le parole dette all’agenzia di stampa ANSA dal primario di pediatria dell’ospedale di Trento, Nunzia Di Palma, disegnano bene lo sgomento di medici ed operatori sanitari nei confronti della morte per malaria di Sofia Zago, che appare tuttora inspiegabile.

Il mistero della malaria all’ospedale di Trento

Lunedì i sanitari hanno piazzato quattro trappole per insetti nel reparto pediatria dell’ospedale, lo stesso dove altri due bambini, di ritorno dal Burkina Faso, erano stati curati e guariti dalla malaria. L’azienda le ha raccolte ieri e non c’erano zanzare portatrici di malaria all’interno delle trappole. Non solo: nella stessa stanza in cui la piccola era ricoverata per diabete c’era un bimbo di tre anni, rimasto nello stesso periodo, dal 16 al 21 agosto, ma non ha manifestato segni di malaria.

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Come si trasmette la malaria (La Repubblica, 6 settembre 2017)


Eppure il parassita che ha causato la malaria al Sofia Zago è lo stesso che aveva fatto ammalare i due bambini di ritorno dal Burkina Faso che erano in pediatria nella stessa struttura negli stessi giorni della piccola. Ovvero il Plasmodium falciparum: “Ma possono esserci – spiega sempre Di Palma – diversi ceppi. Da appurare è quindi se sia o meno lo stesso. Di questo si sta occupando l’Istituto superiore di sanità”. “Abbiamo cercato di capire se abbiamo fatto degli errori nelle procedure, perché per un contagio ci vorrebbe un contatto di sangue, ma non lo troviamo. Abbiamo ripercorso l’intero percorso della paziente durante il ricovero”, ha continuato la Di Palma. E ancora: “Abbiamo rivisto tutto ciò che è stato fatto: dagli aghi monouso ai telini per i prelievi. Scambi di sangue non sono avvenuti. Siamo a disposizione sia della magistratura che degli esperti che vorranno venire da Roma”.

Come si trasmette la malaria

La malaria, si spiega sul sito del ministero della Salute, è una malattia infettiva causata da un microrganismo parassita del genere Plasmodium, che si trasmette all’uomo attraverso la puntura di zanzare del genere Anopheles. Il contagio è possibile anche da trasfusioni di sangue infetto utilizzo di siringhe e strumenti infettati. Le zanzare infette sono dette “vettori della malaria” e pungono principalmente tra il tramonto e l’alba. Questa malattia è la principale causa di mortalità in numerose nazioni. Esistono quattro principali specie di parassiti che causano la malaria negli esseri umani: Plasmodium falciparum, responsabile della malaria maligna o terzana; Plasmodium vivax responsabile della terzana benigna; Plasmodium ovale che provoca una forma simile di malaria terzana benigna; Plasmodium malariae responsabile di una forma di malaria definita “quartana” a causa della caratteristica periodicità con cui si presenta la febbre. Il Plasmodium falciparum e il Plasmodium vivax sono i più comuni. Il Plasmodium falciparum è il più letale.

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Malaria: il contagio attraverso le zanzare (Corriere della Sera, 6 settembre 2017)


Il periodo di incubazione della malaria, ovvero il tempo trascorso tra la puntura infettante e la comparsa dei sintomi clinici, è di circa 7-14 giorni per l’infezione da P. falciparum, di 8-14 giorni per P. vivax e P. ovale, e di 7-30 giorni per P. malariae. Per alcuni ceppi di P. vivax l’incubazione si può protrarre per 8-10 mesi; tale periodo può essere ancora più lungo per P. ovale. Nel caso di infezione malarica da trasfusione, il periodo di incubazione può dipendere dal numero di parassiti trasfusi ed è usualmente breve, ma può protrarsi fino a due mesi.

I quattro ricoverati a Trento

Oltre ai due bambini africani in pediatria, all’ospedale di Trento c’erano anche la mamma e un fratello più grande, adolescente, ricoverati invece nel reparto degli adulti. Entrambi, come i bimbi più piccoli, che erano due femmine di 4 e 11 anni, sono guariti e sono ormai stati dimessi. La famiglia è arrivata in ospedale portando le due bambine, perché avevano la febbre alta, dicendo che erano tornati da una settimana da un viaggio in Burkina Faso. Il fratello maggiore, adolescente, era stato il primo ad avere sviluppato i sintomi e ad essere ricoverato nel reparto di malattie infettive, dov’è stata poi curata anche la mamma. Entrambi erano stati dimessi dopo quattro giorni. Il papà e un altro bimbo, lattante, non presentavano sintomi.

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La malaria nel mondo (Corriere della Sera, 6 settembre 2017)


La prima ad arrivare di quella famiglia di ritorno dall’Africa era stata la bambina di 11 anni. Era il 16 agosto sera ed è stata dimessa il 21. Quella di 4 anni è arrivata il 20 ed è stata dimessa il 24. Considerando che Sofia Zago era rimasta in pediatria a Trento dal 16 al 21 agosto, i giorni di concomitanza con le due bimbe con malaria ci sarebbero. Ma visto che mancano sia le trasfusioni che le zanzare rimane il mistero sul modo in cui la bimba ha contratto la malattia.

La diagnosi di malaria

“La mamma della bimba – racconta ancora il primario di pediatria dell’ospedale di Trento – era in costante contatto telefonico anche dopo il ricovero col medico che qui la curava per stabilizzare la glicemia. Aveva chiamato il 30 agosto, perché la bambina aveva la febbre, anche se non alta, e il 31 il medico l’aveva fatta venire in ospedale, perché aveva ancora febbre e aveva vomitato. La faringite era evidente. Con la mamma inoltre avevano concordato di non fare esami ulteriori, perché la bambina aveva molta paura degli aghi e l’avrebbero agitata molto, era difficile con lei usarli”. “Comunque era in ottime condizioni generali – ha aggiunto Di Palma – rideva e scherzava col medico che la chiamava principessa, protestando perché non voleva essere chiamata così. Il giorno dopo era senza febbre”.

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Sofia Zago con la madre e il padre (foto da: Corriere della Sera, 6 settembre 2017)


La febbre era diventata alta invece sabato mattina, “appariva sonnolenta e stanca e il medico l’aveva invitata a portarla in pronto soccorso – prosegue Di Palma -. Era arrivata alle 9 e alle 10.30-11 c’era la diagnosi di malaria. Il primo controllo era stato per la glicemia, visto che faceva l’insulina. Dall’emocromo era risultata una riduzione di piastrine. Il dubbio era quello di una sepsi che stesse portando a una compromissione neurologica per encefalite. Da qui la richiesta di un approfondimento al laboratorio, per individuare eventuali cellule strane nel sangue. Chi aveva guardato i globuli rossi aveva visto che avevano l’aspetto tipico della malaria, così era stato fatto l’esame dirimente, che aveva confermato una diagnosi inverosimile, la malaria, anche se la bimba non era stata in Paesi a rischio”.

L’indagine per omicidio colposo

La procura della Repubblica di Trento ha aperto un’indagine contro ignoti per omicidio colposo a seguito del decesso di Sofia Zago. Le indagini sono state affidate al Nas, il Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri, dai quali ieri Marco Gallina, procuratore della Repubblica di Trento, ha ricevuto già gran parte della documentazione acquisita. Altri documenti sono attesi dalla Procura di Brescia, che ha aperto un secondo fascicolo, e dall’ospedale di Portogruaro, dove la bimba era stata ricoverata per un esordio diabetico il 13 agosto (per tre giorni) prima di essere trasferita in Pediatria a Trento. Un’indagine che si preannuncia in salita per gli investigatori e in Procura non lo nascondono.
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Le incognite sono numerose e non è detto che si possano trovare risposte esaustive, oltre che rilevanti sotto il profilo penale. Anche se fosse avvenuto un ipotetico contagio diretto fra i bambini (tramite il sangue) oppure tramite l’utilizzo di strumenti non sterilizzati e non monodose – tutte circostanze smentite ieri dall’Azienda sanitaria ed effettivamente molto remote anche dal punto di vista probabilistico – trovarne le prove ora, a distanza di più di due settimane (ma lo stesso si potrebbe dire in caso di tempistiche molto più ridotte) sarebbe di fatto impossibile.

Leggi sull’argomento: Quelli che hanno scoperto che Sofia Zago è morta per i vaccini

 

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