Attualità
Alice Sebesta: tutta la storia della madre che ha ucciso i figli a Rebibbia
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2018-09-20
Ora si trova piantonata in psichiatria al Pertini. Aveva dato segnali di malessere in carcere ma i medici che l’hanno visitata non hanno potuto comunicare con lei perché mancava l’interprete di tedesco. Un secondo colloquio, in programma, non è stato mai effettuato
“Adesso i miei figli sono liberi, gli ho dato la libertà”: Alice Sebesta ha spiegato ieri così al suo avvocato perché ha ucciso ieri i suoi figli gettandoli dalle scale del carcere di Rebibbia. E mentre il ministero della Giustizia sospende il direttore della casa circondariale femminile, Ida Del Grosso, la sua vice, Gabriella Pedote, e il vice comandante del reparto di Polizia penitenziaria, Antonella Proietti, emergono nuovi particolari sulla vicenda giudiziaria e carceraria della Sebesta che fanno pensare a una possibile sottovalutazione delle problematiche della 33enne nata in Germania e cittadina georgiana.
Alice Sebesta: tutta la storia della madre che ha ucciso i figli a Rebibbia
Il Messaggero ha riportato oggi alcuni virgolettati dell’interrogatorio della donna: «Ho mandato mio figlio a Dio», ha spiegato confusa nell’interrogatorio. «E la bambina, Faith?», le ha chiesto la pm. «So che deve essere morta perché ha solo 6 mesi. Ho cercato un posto dove buttare i bimbi perché certamente andranno in cielo», la risposta della donna che, dopo avere appreso che Divine era in ospedale, ha aggiunto: «Spero che anche il secondo bambino muoia,dopo questo incidente non sarà normale. Sono una mamma leone, non voglio che questo mondo li distrugga». «Sono nervosa, sto male, ho la testa piena. Mi aspettano in Paradiso… anche mia nonna mi aspetta lì», ha detto.
La 33enne tedesca si trova piantonata nel reparto di psichiatria dell’ospedale Pertini e ha passato le ultime 24 ore a piangere e pregare. La figlia più piccola, Faith, nata a Monaco di Baviera il 7 marzo scorso, è morta sul colpo, per il fratellino Divine, nato sempre a Monaco il 2 febbraio del 2017, i medici dell’ospedale Bambino Gesù hanno avviato la procedura per l’accertamento della morte cerebrale. Ieri in un carcere tedesco è stato rintracciato il padre dei piccoli, Ehis E., di nazionalità nigeriana, al fine di ottenere da lui l’ok per l’espianto degli organi, che però è stato negato alla fine proprio dalla madre.
La storia dei colloqui con lo psicologo mai tradotti
Alcuni agenti di Polizia Penitenziaria avevano relazionato su alcuni comportamenti strani di Alice Sebesta, quei rapporti ora sono stati sequestrati nelle indagini. Di lì a poco avrebbe dovuto avere un colloquio con i genitori e a quanto pare temeva che le togliessero i figli. Il Fatto racconta che quando le altre recluse, per la maggior parte rom, si sono accorte dell’accaduto, sono corse a fare da scudo con i loro corpi ai bambini, mentre le agenti della polizia penitenziaria bloccavano la donna.
Lei però aveva dato anche molti segnali di malessere che sono stati sottovalutati. Il Messaggero racconta che Alice Sebasta è stata sottoposta a un primo colloquio psicologico con i medici della ASL Roma 2, ma all’incontro non era presente un interprete dal tedesco e la donna si è dovuta esprimere a gesti. Gli operatori sanitari non l’hanno segnalata come soggetto a rischio e non hanno scritto che era stata in strutture psichiatriche fin dall’adolescenza, un’informazione che però potrebbe non essere stata fornita dalla stessa Sebasta.
I controlli mancati
Nella relazione i medici hanno segnalato che era necessario un controllo più approfondito e hanno specificato che era necessario un interprete. Ma nessuno ha visitato la donna prima del giorno in cui ha ucciso i suoi figli. L’indagine penale e quella disciplinare chiariranno se ci sono responsabilità nella catena di controllo del carcere. La donna viveva male la detenzione, per se stessa e soprattutto per i figli, così piccoli, costretti a stare con lei dietro le sbarre dal 28 agosto scorso, giorno in cui era stata estradata dalla Germania per il possesso di 10 chilogrammi di marijuana, con la pesante accusa di traffico internazionale di stupefacenti.
Il 27 agosto era stata intercettata dai carabinieri dei Parioli sulla tangenziale in auto con due uomini di cittadinanza nigeriana: dentro il veicolo venne rinvenuta la droga .«Mi hanno dato un passaggio per la stazione Tiburtina, dovevo prendere il treno per tornare a Monaco di Baviera, non sapevo della droga», aveva detto lei al giudice. Invece i due sono stati rimessi in libertà e lei è finita in carcere. Proprio per questo il suo avvocato aveva fatto ricorso al tribunale del Riesame: quello steso giorno, martedì, era stata discussa la sua richiesta di scarcerazione e i giudici si erano riservati di valutarla. Lei non sapeva nemmeno come fosse andata quando ha agito.