Attualità
La poco trasparente alleanza tra Transparency International e la Lava Jato
di Francesco Guerra
Pubblicato il 2020-02-09
Un populismo giudiziario mediante il quale il potere giudiziario brasiliano, in stretta relazione con mass-media e opinion maker, come Transparency International, manipolano, di fatto, l’opinione pubblica, direzionandola a proprio piacimento
Con non poca sorpresa nei giorni scorsi ho appreso che in base alle valutazioni di Transparency International – organizzazione apparentemente indipendente che stila una classifica mondiale della percezione della corruzione con riferimento ai vari Paesi – il Brasile, nel corso del 2019, sarebbe retrocesso, in questo particolare e fin troppo sopravvalutato ranking, sino alla 106esima posizione, superato (udite, udite!) da Stati quali Ecuador, Etiopia e Vietnam. Letta la notizia, quale buon detrattore della Lava Jato farebbe, sono immediatamente sobbalzato dalla sedia. Ma come? Anni e anni di pistolotti contro la politica corrotta e la task-force della Lava Jato innalzata a salvatore della patria e adesso viene fuori, per giunta sanzionato dagli amici della Lava Jato (Transparency International, appunto), che, in realtà, tutto l’insopportabile baraccone lavajatista ha finito per portare acqua al mulino della corruzione?
La poco trasparente alleanza tra Transparency International e la Lava Jato
Tutto questo lo pensavo, erroneamente, prima di avere letto le “illuminanti” parole di Bruno Brandão, il direttore di Transparency International in Brasile, sul quale più avanti ritorneremo. Dichiara Brandão, citato dal sito della Globo, con riferimento alla pessima posizione ricoperta dal Brasile nel succitato ranking: “Significa che il 2019 fu un anno di pochi progressi e di molti regressi nella lotta contro la corruzione in Brasile. In una certa maniera, una frustrazione di aspettative (nota a margine: buon per lui che le aspettative le aveva!), perché, nelle elezioni del 2018, la lotta alla corruzione fu un tema centrale”. Brandão, tanto per non smentire la sua adesione fanatica alla Repubblica Giudiziaria di Curitiba (città dove è nata la Lava Jato), rivolge le sue critiche al tempio della corruzione brasiliana – il Congresso – reo, a suo giudizio, di avere approvato la Legge sull’Abuso di Autorità e al Supremo Tribunale Federale per avere decretato la fine della carcerazione, in automatico, dopo una condanna al secondo grado di giudizio. Giusto per capirsi, la legge sull’abuso di autorità, che Brandão vede come un retrocesso e che era in discussione al Senato dal 2017, limiterà l’eccesso di potere in mano agli organi investigativi brasiliani, i quali non potranno più decidere di condurre forzatamente testimoni e soggetti investigati senza una previa decisione del magistrato competente, né potranno realizzare intercettazioni telefoniche, informatiche e telematiche o rompere il cosiddetto ‘segredo de Justiça’, anche qui, senza una previa decisione del magistrato competente. Cosucce da poco, insomma, per uno Stato che voglia definirsi di Diritto.
Dall’altro lato, tuttavia, l’immarcescibile Brandão cita anche quelli che, a suo dire, sarebbero tangibili progressi fatti nel corso del 2019 con riferimento alla lotta alla corruzione, quali, per esempio, l’immissione di 1200 nuovi agenti nel corpo della Polizia Federale e la ricomposizione delle task-force dedicate alla Lava-Jato a Curitiba, Rio de Janeiro e Brasilia. In altre parole, per il direttore di Transparency International in Brasile un problema complesso come la corruzione si risolve, da ultimo, in una questione di ordine pubblico (aumento degli effettivi della Polizia Federale) e di ordine giudiziario (rafforzamento delle varie task-force della Lava-Jato presenti sul territorio brasiliano. Elemento, questo relativo a task-force dedicate, sulla cui liceità già sarebbe il caso di interrogarsi). Nemmeno una parola, ovviamente, sul ruolo che in questo delicato processo di superamento di assai radicati schemi politici basati sulla corruzione dovrebbero ricoprire il potere esecutivo e quello legislativo, i quali, come si capisce dalle parole dello stesso Brandão, sono entrambi corrotti fino alla punta dei capelli, al contrario dell’illibato potere giudiziario.
La classica narrazione tribunalizzata, dunque, la quale, delegittimando e squalificando la politica tutta, mira a creare una connessione viva e vitale tra podere giudiziario e società, civile o incivile che essa sia. Entro questa cornice non appare spericolato affermare che, in Brasile, Transparency International altro non è che una delle cinghie di trasmissione che legano il Partito della Lava Jato alla società civile brasiliana, sedimentando un senso comune in virtù del quale tutto ciò che gravita intorno alla politica non è altro che uno dei tanti volti che l’illegalità e il malaffare possono assumere e come, al contrario, ogni salvezza per il popolo tiranneggiato dalla politica non può che risiedere nel potere giudiziario e nelle sue insindacabili decisioni, del tutto dimentico del fiorente mercato delle sentenze vendute o di episodi di cronaca giudiziaria, quale quello che coinvolse il giudice federale Flávio Roberto de Souza che andava a spasso con la Porsche, posta sotto sequestro, dell’imprenditore Eike Batista. Un populismo giudiziario mediante il quale il potere giudiziario brasiliano, in stretta relazione con mass-media e opinion maker, come Transparency International, manipolano, di fatto, l’opinione pubblica, direzionandola a proprio piacimento. Una china pericolosa e una concreta minaccia non solo per la già acciaccata democrazia brasiliana, ma per l’intero continente sudamericano come rese evidente un messaggio pubblicato il 7 luglio 2019 da The Intercept Brasil (disponibile al seguente link) nel quale, in data 31 ottobre 2017, il direttore di Transparency International in Brasile scriveva a Deltan Dallagnol, Procuratore della Repubblica e Coordinatore della Lava Jato a Curitiba:
Bruno Brandão – 15:53:40 – Delta, tutto bene? Sono tornato oggi e già sono attivo.
B.B. – 15:55:49 – Sto partecipando a un dibattito sul Venezuela presso la Fondazione Fernando Henrique Cardoso e vorrei fare un commento su Transparency International che sta difendendo la proposta, assieme alla task-force della Lava Jato, che si aprano processi extraterritoriali contro le autorità venezuelane.
B.B. – 15:59:13 – Qualche obiezione?
Deltan Dallagnol – 19:51:31 – Nessuna obiezione.
D.D. – 19:51:50 – Al contrario, è una buona cosa per sondare il terreno.
B.B. – 20:04:16 – Alla fine, Fernando Henrique Cardoso è venuto a conversare con me e ha detto che è una buona idea.
Tuttavia, come riportato da The Intercept Brasil, un simile progetto “extraterritoriale” non avrebbe avuto seguito a causa dell’opposizione del ministro del Supremo Tribunale Federale Edson Fachin, relatore della Lava Jato all’interno della Suprema Corte, il quale riconobbe come il caso venezuelano non era di competenza dei procuratori di Curitiba per il fatto di non avere relazioni con la Petrobras. Pur non essendo un simpatizzante del regime di Maduro, mai augurerei al popolo venezuelano di passare dalla padella del chavismo alla brace del lava-jatismo.
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