Attualità
Simone Di Stefano: il leader di Casapound condannato
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2019-11-23
Il vicepresidente nazionale di Casapound ha patteggiato una pena di un anno e 4 mesi per il blitz compiuto all’interno di un appartamento da un gruppo di attivisti di destra. Intanto a Bari la procura rinvia a giudizio 28 dei Fascisti del Terzo Millennio
Simone Di Stefano, vicepresidente nazionale di Casapound ha patteggiato una pena di un anno e 4 mesi per il blitz compiuto all’interno di un appartamento da un gruppo di attivisti di destra per protestare contro lo sfratto di una famiglia che risiedeva da anni nel palazzo di proprietà del Comune di Roma: la vicenda risale al settembre 2016.
Simone Di Stefano: il leader di Casapound condannato
I reati contestati dalla procura erano invasione di edifici, violazione di sigilli e resistenza a pubblico ufficiale i reati contestati dalla procura. Stando alle accuse Di Stefano e gli altri (circa 15 persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio) avrebbero violato i sigilli apposti dall’autorità giudiziaria per due volte. La prima si sarebbero asserragliati nell’edificio e, per evitare che i vigili urbani eseguissero il sequestro, avrebbero utilizzato una bombola del gas come spauracchio, azionandola ogni volta che gli agenti della municipale tentavano di tagliare con la sega circolare la serratura del portone. Il solo Di Stefano, inoltre, avrebbe lanciato dalla finestra verso gli agenti, al fine di scacciarli, oggetti come uova, pomodori, detersivi e pezzi di mobilio. Venti giorni dopo, il leader di CasaPound, con altri militanti, sarebbe tornato nello stesso edificio violando di nuovo i sigilli che erano stati apposti. Di Stefano, assistito dall’avvocato Domenico Di Tullio, ha deciso per il rito alternativo durante l’udienza preliminare davanti al gup Vilma Passamonti. Il Comune ha presentato istanza di costituzione di parte civile nei confronti degli altri imputati.
Ieri intanto la Procura di Bari ha disposto la citazione diretta a giudizio per 33 persone, tra le quali 28 militanti di CasaPound accusati di riorganizzazione del disciolto partito fascista “per aver attuato il metodo squadrista come strumento di partecipazione politica”. Il procedimento nasce dall’aggressione del 21 settembre 2018 nel quartiere Libertà di Bari a manifestanti antifascisti che avevano partecipato ad un corteo organizzato dopo la visita in città dell’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Dieci dei 28 imputati di CasaPound, definiti “picchiatori”, coloro cioè che materialmente presero parte all’aggressione con sfollagente, manubri da palestra, manganello telescopico, cinture, calci e pugni, ferendo quattro persone tra le quali l’assistente parlamentare dell’eurodeputata Eleonora Forenza, presente al momento dell’aggressione, rispondono anche del reato di concorso in lesioni aggravate. Il processo inizierà dinanzi al Tribunale di Bari il 23 marzo 2020. Saranno processati anche cinque manifestanti antifascisti, compagni delle vittime, accusati di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, perché dopo l’aggressione, “nel tentativo di sfondare il cordone dei militari”, avrebbero minacciato e colpito con calci, pugni e spintoni poliziotti e carabinieri. Stando all’imputazione relativa al pestaggio da parte dei militanti di estrema destra, lo stesso sarebbe avvenuto “in esecuzione di un disegno criminoso giustificato dall’ideologia fascista”. A seguito dell’aggressione la sede di CasaPound Bari, il Circolo Kraken a pochi passi dal luogo dove si era radunato il corteo, fu posto sotto sequestro su disposizione della magistratura barese. In quel luogo i militanti di CasaPound avrebbero raccolto armi e radunato uomini, provenienti da tutta la Puglia, in attesa del passaggio dei manifestanti antifascisti. Nelle successive indagini della Digos di Bari, coordinate dal procuratore aggiunto Roberto Rossi, nella sede furono rivenuti “oggetti chiaramente riconducibili alla ideologia fascista”, come bandiere nere con fascio littorio e un busto di Benito Mussolini.
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