Attualità
Perché Massimo Carminati è stato scarcerato
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-06-17
Repubblica spiega che il tempo usato dalla Cassazione per il deposito delle motivazioni ha influito sulla scarcerazione del “Cecato”, a capo di un’associazione a delinquere semplice e non mafiosa secondo i giudici
Massimo Carminati torna libero a causa della scadenza dei termini di carcerazione preventiva. L’ordinanza di 23 pagine che decreta la libertà per il “Cecato”, uno dei criminali più temuti di Roma, viene firmata il 22 maggio e depositata lunedì. «A fine marzo il mio assistito aveva già scontato il tetto massimo dei due terzi del reato più grave che gli è stato contestato: la corruzione», con questa argomentazione Cesare Placanica, difensore dell’ex Nar, ha convinto i giudici del tribunale del Riesame dopo che per due volte, con le stesse motivazioni, si era visto respingere l’istanza. Repubblica spiega che sulla decisione ha influito il tempo che ci ha messo la Cassazione per depositare le motivazioni del rinvio in Appello:
Sulla valutazione, stavolta, ha pesato la data da cui far partire il conteggio del carcere preventivo. Mentre i collegi precedenti hanno valutato giugno 2015 come inizio delle corruzioni contestate, poi ché è in quella data che Carminati riceve la seconda ordinanza di custodia, questi giudici hanno spostato le lancette al 2 dicembre 2014, giorno della retata in cui finì in carcere, con l’accusa di mafia. Persuasi dal penalista che le corruzioni indicate nel 2015 fossero in realtà «contestazioni a catena», ovvero conseguenza della prima tranche dell’inchiesta Mondo di mezzo, i giudici stavolta hanno detto sì. Tecnicismi in punto di diritto che hanno portato a un risultato: Carminati è fuori dal carcere da cittadino libero in attesa dellasentenza di secondo grado, al processo d’appello bis, che non è neanche cominciato. Per di più ha passato anni al 41bis senza che ci fossero i requisiti.
Le motivazioni con cui la Cassazione il 22 ottobre del 2019 ha fatto crollare l’accusa più grave rivolta a Carminati e al suo socio in affari Salvatore Buzzi, quella di 416bis, sono arrivate 6 giorni fa. Depositate a 8 mesi dal verdetto, un lasso di tempo enorme in cui, qualcuno sostiene, si sarebbe riusciti a celebrare il ricalcolo della pena per gli imputati del Mondo di mezzo, e Carminati non sarebbe uscito fino all’espiazione della pena. Anche perché la contestazione di mafia pesa sul calcolo della detenzione preventiva. Blindata, la Cassazione, con una procura generale stizzita per l’intera vicenda e giudici che difendono l’operato dei colleghi spiegando che era una sentenza importante, dal punto di vista giuridico e mediatico, che richiedeva tempo e che, soprattutto, i termini del deposito rispettano quelli previsti dalla Cedu. I termini per il deposito, spiegano dal Palazzaccio, non sono perentori e Carminati sarebbe tornato libero comunque.
Carlo Bonini però punta lo stesso il dito sul Palazzaccio:
Per dirla dritta e senza starci a girare troppo intorno, Massimo Carminati torna libero perché ci sono voluti otto mesi per scrivere le motivazioni di una sentenza di Cassazione (il deposito è di pochi giorni fa) che ha disposto un nuovo processo di appello che dovrà rideterminare la pena che Carminati sconterà a titolo di associazione per delinquere semplice. Otto mesi durante i quali si è definitivamente consumato il tempo che ancora consentiva di tenerlo in carcere in attesa di una pronuncia definitiva. Un tempo diventato improvvisamente più breve perché, appunto, non più misurato sul reato di 416-bis, ma sull’ipotesi, meno grave, dell’associazione a delinquere semplice (416). Già, otto mesi. Franco Cordero, uno dei più grandi e geniali studiosi del nostro tempo della procedura penale, scomparso appena un mese fa, amava ricordare, nelle sue indimenticabili lezioni universitarie alla “Sapienza” di Roma (performance, più che lezioni), a chiosa degli articoli del codice di procedura penale che disciplinano i tempi di deposito delle motivazioni di una sentenza, che Stendhal, nel 1838, scrisse il suo capolavoro La Certosa di Parma in 53 giorni. Meno di due mesi.
La metà della metà del tempo impiegato dalla Cassazione per mettere insieme le ragioni che, il 22 ottobre dello scorso anno, l’hanno appunto convinta a smontare l’aggravante mafiosa contestata nell’associazione per delinquere di cui Carminati faceva parte. Naturalmente, non abbiamo elementi per valutare se sia stato più complesso mettere insieme le 500 pagine della Certosa di Parma o le 379 pagine di motivazioni di Mafia Capitale. Ma c’è un dato, anche questo obiettivo, che fa pensare. Nell’inverno che abbiamo alle spalle, la pandemia del Covid-19 ha di fatto congelato ogni attività di udienza, sollevando anche i collegi di Cassazione da un carico di lavoro che, sulla carta, avrebbe dovuto rendere più agevole il lavoro di scrittura delle motivazioni di procedimenti già definiti. Evidentemente, il processo Mafia Capitale non ne ha avuto beneficio. Anzi. È successo il contrario.