Attualità
Massimo Carminati torna libero
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-06-16
L’AdnKronos: dopo tre rigetti da parte della Corte d’Appello, l’istanza di scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, con il meccanismo della contestazione a catena, presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri, è stata accolta dal Tribunale della Libertà
Massimo Carminati, uno dei principali protagonisti dell’inchiesta Mafia capitale, lascerà oggi il carcere di Oristano e tornera libero. Secondo quanto scrive l’Adnkronos, dopo tre rigetti da parte della Corte d’Appello, l’istanza di scarcerazione per scadenza dei termini di custodia cautelare, con il meccanismo della contestazione a catena, presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri, è stata accolta dal Tribunale della Libertà. Carminati esce dal carcere dopo 5 anni e 7 mesi di detenzione.
Mondo di Mezzo: Massimo Carminati torna libero
“Deve ritenersi che in relazione ai capi di imputazione il termine complessivo massimo di custodia cautelare e’ scaduto, con la conseguenza che va disposta la scarcerazione dell’appellante”, scrivono i giudici del tribunale del Riesame di Roma nel provvedimento con il quale è stato scarcerato Carminati. “Siamo soddisfatti che la questione tecnica che avevamo posto alla Corte d’Appello e che tutela un principio di civiltà sia stata correttamente valutata dal Tribunale della libertà”, dice Placanica all’AdnKronos. Il 12 giugno la Cassazione aveva pubblicato le motivazioni con cui spiegava che ai protagonisti dell’inchiesta Mondo di Mezzo non era possibile contestare l’aggravante mafiosa nell’associazione a delinquere: 379 pagine che gli ermellini avevano scritto per demolire con gentilezza l’indagine partita nel 2010 dai pm dell’era di Giuseppe Pignatone, faldoni ora ‘declassati’ a inchiesta su due ‘semplici’ associazione a delinquere. Gregari e comprimari di una Roma in piena decadenza morale e gestionale, non usavano armi e nemmeno l’intimidazione, dice la Cassazione cancellando l’ombra mafiosa. Forse per garbo verso i colleghi della Corte di Appello – che invece su ricorso della procura aveva riconosciuto il metodo mafioso – la Cassazione ha diramato una nota nella quale sottolinea che “alla fine è stata confermata la responsabilità penale di quasi tutti” per una serie “di gravi reati contro la pubblica amministrazione, oltre che per la partecipazione alle associazioni criminali” ribadendo “le precedenti decisioni di merito”. Il resto, scrivono gli ‘ermellini’, forse memori delle polemiche che si erano levate alla lettura del verdetto, sono solo condanne da limare, perchè sui fatti non si discute più. “Appare evidente, dalla sentenza di secondo grado, che non risulta affatto il ruolo di Massimo Carminati quale terminale di relazioni criminali con altri gruppi mafiosi”, rimarca la Sesta sezione penale. “Nessun ruolo era gestito da Carminati con settori finanziari, servizi segreti o altro; la gestione delle relazioni con gli amministratori era compito quasi esclusivo di Salvatore Buzzi, avendo Carminati relazioni determinanti solo con alcuni ex commilitoni” di estrema destra approdati nell’organigramma del Campidoglio. Insomma l’ex neofascista – condannato in appello a 14 anni e sei mesi, ora uscito dal carcere durio e detenuto in regime ordinario – non avrebbe avuto “contatti significativi” con il clan Casamonica, con quello dei fratelli Senese, con l’ex della banda della Magliana Ernesto Diotallevi.
Era Buzzi, ai domiciliari da dicembre dopo cinque anni in carcere e una condanna a 18 anni e 4 mesi, a tessere la sua rete nei municipi e nelle giunte a furia di mazzette, cene e promesse di assunzioni. “Aveva creato uno stabile sistema di infiltrazione nelle istituzioni – scrive la Cassazione – in base a cui i Dipartimenti, i Municipi e gli altri centri di costo di Roma Capitale” per la gestione dei servizi, come prassi, facevano “ricorso sistematico alle proroghe non previste nel bando originario, e ad affidamenti diretti in favore delle cooperative dello stesso Buzzi”. Con buona pace della “libera concorrenza”: era un sistema blindato. “Il gruppo di Buzzi, attraverso la remunerazione (sovvenzioni per cene ed eventi, assunzione di assoggetti raccomandanti, scambi di favori, vere e proprie tangenti) di politici appartenenti sia alla sua area di riferimento sia allo schieramento opposto, riusciva a sollecitare finanziamenti pubblici e poi in concreto l’affidamento dei servizi”. Questo asservimento, prosegue la Cassazione, avveniva in maniera soft: “una parte dell’amministrazione comunale si è di fatto consegnata agli interessi” di Buzzi e Carminati che hanno “trovato un terreno fertile da coltivare”. “Quello che è stato accertato è un fenomeno di collusione generalizzata, diffusa e sistemica”, e anche gli imprenditori – osserva la Cassazione – “hanno accettato” la logica “professata da Buzzi e dai suoi sodali, basata sugli accordi corruttivi, intercorsi tra funzionari pubblici e imprenditori, convergenti verso reciproci vantaggi economici”.
Chi è Massimo Carminati, “quel bravo ragazzo”
Com’è Massimo Carminati? «Bravo ragazzo», «tipo serio e taciturno». Molto amico dei membri dei NAR, di cui fanno parte anche Valerio e Cristiano Fioravanti e Francesca Mambro, frequenta anche un bar a Ponte Marconi dove vanno Franco Giuseppucci, er Negro, e Crispino, Maurizio Abbatino. I tre diventano subito grandi amici, anche se c’è una bella differenza d’età. E i due criminali cominciano a considerarlo il loro pupillo. Com’è Carminati? Taciturno, zitto, freddo, sempre pronto a trafficare, obbedisce agli ordini senza sgarrare. Come si vede all’epoca? “Mentre io ero soltanto amico… io ero politico … facevo politica a quei tempi … poi … la politica ha smesso di essere politica… è diventata criminalità politica, perché c’era una guerra a bassa intensità, prima con la sinistra e poi con lo Stato. C’avevo contatti con la Banda della Magliana perché… l’unico vero capo che c’è mai stato… Giuseppucci … era un mio caro amico, abitava di fronte a casa mia … poi quando l’hanno ammazzato … c’ho avuto una sorta di rapporti, con tutti ’sti cialtroni, ma loro vendono la droga, io la droga non l’ho mai venduta, non mi ha mai interessato… Io schioppavo dieci banche al mese…».
MASSIMO CARMINATI, QUEL BRAVO RAGAZZO
La storia la raccontano tutti i libri che parlano della Banda della Magliana. Comincia con una bomba ritrovata il 6 febbraio 1977 nel bagno di un treno fermo alla stazione insieme a un volantino di Ordine Nuovo, e la sigla NAP, che invece si rifà a un gruppo rosso. Ritrovata da Maria Rita Moxedano, che la polizia descrive come attiva alla Magliana a quei tempi nei panni di rapinatrice e palo. Un episodio strano, un falso allarme (la bomba non poteva esplodere), un segnale politico. All’epoca Franco Giuseppucci tiene le armi ai rapinatori di mestiere in una roulotte che verrà trovata parcheggiata al Gianicolo e con un vetro rotto nella famosa storia della prima volta che Franchino Er Negro si salvò di prigione. Giuseppucci è simpatizzante fascista, e all’epoca conosce Claudio Bracci, Alessandro Alibrandi, Pasquale Belsito, Gilberto Cavallini oltre che Giuseppe e Valerio Fioravanti. Ma frequenta anche Nicolino Selis, e per suo tramite conosce Aldo Semerari, il professore. Uno dei padri della psichiatria italiana, ma anche un neofascista sempre pronto a organizzare milizie in attesa del momento storico giusto, come pensava lui. Nel frattempo Semerari, che come criminologo ha salvato con le sue perizie psichiatriche in varie occasioni Raffaele Cutolo e la Nuova Camorra Organizzata. A lui vicino ci sono il giovane Aleandri e Fabio De Felice, ma Semerari è anche affiliato alla loggia P2, E poi c’è Danilo Abbruciati, il cravattaro che non aveva paura di sparare ed è morto sotto i colpi di una guardia giurata dopo aver gambizzato Roberto Rosone, presidente del Banco Ambrosiano che non aveva nessuna voglia di sottostare a Calvi e al suo burattinaio Sindona.
All’epoca Giuseppucci è in contatto con «un gruppo terroristico di estrema destra capeggiato da Massimo Carminati, Alessandro Alibrandi e Claudio Bracci, che autofinanzia la propria attività eversiva rapinando banche e gioiellerie. Della cellula terroristica fanno parte anche Giusva Fioravanti – già compagno di scuola di Carminati (che definirà “un signor bandito”) – e suo fratello Cristiano» (Gianni Flamini, La Banda della Magliana). Quelli hanno bisogno di riciclare pietre preziose e denaro provento delle rapine, Abbruciati e Giuseppucci hanno i contatti giusti per farlo. Piano piano quei «bravi ragazzi» si conquistano la fiducia di Giuseppucci, e cominciano a fare gli esattori per chi era indietro con le rate del prestito a strozzo, e poi arrivano più in alto. A partecipare agli omicidi della guerra permanente che la Banda della Magliana aveva scatenato con il resto della criminalità romana che non riconosceva la sua supremazia. L’idea di Semerari e De Felice è che la Banda sia la longa manus che colpirà per conto dei neofascisti. Giuseppucci quando sente la proposta ride in faccia al professore. Nella villa di Semerari Abbatino vedrà un letto in metallo nero sormontato da una bandiera con svastica e ornato di aquile, e un branco di dobermann ai quali il professore dava ordini in tedesco, secondo quanto scritto nella sentenza di Lupacchini. Semerari verrà ritrovato con la testa mozzata in una bacinella dentro un’automobile, il corpo nel portabagagli, per le conseguenze di un tradimento alla Famiglia di Ammaturo, concorrente di Cutolo. Nel frattempo però è successo che Giuseppucci ha cominciato a far “reggere” le armi ai neofascisti, i quali li hanno usati in tante rapine. Paolo Aleandri viene sequestrato e chiuso in un appartamento ad Acilia. Ai boss si rivolgono di nuovo Carminati e Bruno Mariani, che chiedono di risparmiare Aleandri e dicono che faranno in modo di sostituire le armi. Ad agosto alla Stazione di Trastevere, vicino al bar di Ponte Marconi dove Giuseppucci e Carminati si erano conosciuti, arrivano Scorza e Mariani e si incontrano con Abbatino, Danesi e altri. Restituiscono armi equivalenti a quelle avute in prestito: due bombe a mano “ananas” e due mitra Mab, vecchi modelli modificati. Aleandri viene rilasciato. A quel punto er Negro trova la stanza al ministero della Sanità in via Liszt, e lì porta anche i proiettili Gevelot. Chi può entrare al deposito: Maurizio Abbatino, Colafigli, Sicilia e… di nuovo Massimo Carminati. Quel bravo ragazzo. La politica, la guerra a bassa intensità con la sinistra e con lo Stato. Uno dei due mitra viene ritrovato sul treno Taranto-Milano, nel patetico tentativo di depistaggio messo in atto dal generale del Sismi Pietro Musumeci e dal colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte: Abbatino lo riconoscerà come quello della Magliana, Carminati verrà condannato in primo grado e assolto in secondo per il depistaggio.
LA MORTE DI GIUSEPPUCCI E L’OMICIDIO DEL PIDOCCHIO
Nel frattempo l’attività di rapina prosegue. La Chase Manhattan Bank viene svuotata il 27 novembre 1979 da Alessandro Alibrandi, Valerio Fioravanti, Giuseppe Dimitri e Domenico Magnetta. Massimo Carminati aspetta in auto. Cento milioni in denaro e, soprattutto, traveller’s cheques, che finiscono nelle casse di Avanguardia Nazionale. Poi andrebbero smerciati, e ci pensano Giuseppucci e Abbatino (fallendo, visto che verranno arrestati). Amleto Fabiani, che aveva schiaffeggiato De Pedis e preso a bottigliate Colafigli, finisce “parcheggiato” ad opera dei neri, che nello stesso giorno fanno secco anche Teodoro Pugliese. Il 13 luglio si fa festa per la rapina a piazza Annibaliano che ha fruttato 165 miliooni di lire dell’epoca, mangiando al ristorante La Dolce Vita insieme al Camaleonte e al Negro. Il 2 agosto a Bologna scoppia la bomba alla stazione. il 13 settembre viene ammazzato Franco Giuseppucci a Piazza San Cosimato. E qui finisce l’amicizia tra Carminati e quelli della Magliana, visto che lui era legato solo al Negro. Mentre la Banda comincerà la mattanza per vendicare l’amico e comunicare la sua supremazia su Roma, Carminati è impegnato nel depistaggio per la strage di Bologna. Il 20 marzo 1979 viene assassinato Carmine detto Mino Pecorelli, direttore del settimanale Osservatorio Politico O. P., iscritto alla Loggia P2, con tre colpi di pistola. I proiettili sono quelli, ma Carminati viene assolto insieme a mandanti e altri esecutori. Antonio Mancini non viene ritenuto attendibile dai giudici.
Il giorno di Pasquetta del 1981 Carminati sta scappando. Si appresta a varcare la frontiera con la Svizzera, ma pochi giorni prima Cristiano Fioravanti ha raccontato di quel canale, che serviva ai neofascisti in primo luogo per riciclare i soldi sporchi delle rapine. I carabinieri si fanno trovare sul posto, Carminati e il suo compagno, a quanto pare, tentano di scappare e quelli sparano: Carminati perde un occhio, e diventa er Cecato o er Guercio, finisce in carcere. Le circostanze non chiare della sua cattura, frutteranno anche interrogazioni parlamentari al ministero dell’interno da parte dei radicali, che mettevano in dubbio la dinamica e la circostanza della fuga e facevano trapelare l’ipotesi dell’agguato. Massimo Carminati ha 23 anni. L’anno dopo verrà scarcerato e di nuovo arrestato, ma l’epoca da politico era finita. Prima ci saranno i processi con le tante assoluzioni e poi la sua vita criminale.