Quando Pennacchi diceva a Salvini “la sua mamma l’avrebbe dovuto riempire di botte quando era piccolo” | VIDEO

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2021-08-04

Uno dei tanti scontri televisivi tra Antonio Pennacchi e Salvini

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Uno dei tanti scontri televisivi tra Antonio Pennacchi e Salvini, risalente al 2016, in cui lo scrittore scomparso non le mandava a dire al leader della Lega.

Quando Pennacchi diceva a Salvini “la sua mamma la doveva riempire di botte quando era piccolo” | VIDEO

Il discorso, tanto per cambiare, verteva sui migranti. Pennacchi spiegava a Salvini che non poteva proporsi come la soluzione del problema visto che al governo la Lega, con Maroni ministro dell’Interno, c’era stata per anni. E che una questione complessa non poteva essere liquidata con uno slogan.

Poi il dibattito si è acceso, con Pennacchi che ha dato del somaro a Salvini: “Ma studia prima di fare le battutine”. Non solo: lo scrittore scomparso dopo essere stato ripreso dal leader della Lega perché indossava l’iconico cappello che aveva sempre con sè ha aggiunto: “la sua mamma l’avrebbe dovuto riempire di botte quando era piccolino”:

Pennacchi per uno di quegli scambi accesi con Salvini fu anche querelato.

Chi era Antonio Pennacchi

Antonio Pennacchi era nato a Latina il 26 gennaio 1950, figlio di coloni della bonifica dell’Agro Pontino, da padre umbro e madre veneta. Da ragazzo Antonio Pennacchi si iscrive all’Msi, ma viene espulso dopo qualche anno per una manifestazione antiamericana contro la guerra in Vietnam. Decide poi di aderire ai marxisti-leninisti di ‘Servire il Popolo’. Successivamente entra, nell’ordine: nel Psi, nella Cgil, nella Uil, nel Pci e di nuovo nella Cgil. E’ stato operaio per quasi trent’anni, trascorsi per lo più a turni di notte, presso la Fulgorcavi (poi Alcatel Cavi, poi Nexans) di Borgo Piave, a Latina. L’ultima espulsione – quella dalla Cgil nel 1983, a firma di Sergio Cofferati, allora segretario dei chimici – l’ha convinto a chiudere con la politica attiva. Così s’è rimesso a studiare e a scrivere.

Nel 1994, a 44 anni, – sfruttando un periodo di cassintegrazione – si è laureato in Lettere con una tesi su Benedetto Croce. Nello stesso anno c’è stata la pubblicazione per Donzelli di “Mammut”, che in 8 anni aveva collezionato 55 rifiuti da 33 diversi editori (ad alcuni lo rispediva cambiando titolo). Seguiranno, sempre per Donzelli, “Palude” (1995) e Una Nuvola Rossa (1998) e, con Vallecchi, “L’Autobus di Stalin e altri scritti”. Nel 2003 per Mondadori pubblica il romanzo “Il fasciocomunista”. che vince il Premio Napoli e da cui è tratto il film “Mio fratello è figlio unico”, diretto da Daniele Luchetti. Nel 2006, sempre con Mondadori, esce la raccolta di racconti “Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni”. Nel 2008, per Laterza, viene pubblicato “Fascio e Martello. Viaggio per le città del Duce”.

Nel 2010, per la casa editrice Mondadori, esce “Canale Mussolini”, con cui Antonio Pennacchi vince il Premio Strega ed è finalista al Premio Campiello. Sempre nel 2010 esce, per Laterza, “Le Iene del Circeo”. Hanno fatto seguito “Storia di Karel” (2013), “Camerata Neandertal. Libri, fantasmi e funerali vari” (2014), “Canale Mussolini. Parte seconda” (2015), “Il delitto di Agora” (2018), rivisitazione del thriller “Una nuvola rossa“ pubblicato nel 1998, e “La strada del mare” (2020). Nel 2011, in occasione delle elezioni comunali di Latina è tornato alla politica attiva sostenendo Futuro e Libertà e ottenendo l’1,05% delle preferenze.

Pennacchi ha collaborato con “Limes” e suoi scritti sono apparsi su ‘Nuovi Argomenti’, ‘Micromega’ e ‘La Nouvelle Revue Française’.

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