A Padova non si affitta a «quelli di colore»

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2018-09-27

L’incredibile odissea di tre ragazzi padovani che non riescono a trovare un appartamento in affitto perché uno di loro, lavoratore regolare, è nero e i proprietari non affittano “a quel tipo di stranieri”

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Qualche decennio fa, quando il Nord Italia era meta di immigrazione da parte degli italiani del Sud in molte grandi città era la norma leggere cartelli dove si specificava che “non si affitta ai meridionali”. Puro e semplice razzismo, alimentato oggi come allora dalla diffusione di stereotipi e dalla strumentalizzazione di fatti di cronaca. Oggi ai terroni si affitta forse più volentieri ma il razzismo è rimasto lo stesso. A Padova, dove l’anno scorso divenne un caso l’annuncio di un appartamento in affitto dove era esplicitamente scritto «non si affitta a immigrati e meridionali».

L’ordinario razzismo dei padovani

Seguirono giorni di intenso dibattito sui giornali dove i cittadini di Padova venivano chiamati a rispondere alla fatidica domanda: “i padovani sono razzisti?”. La vicenda venne derubricata come un “caso isolato”, in fondo Padova è una città universitaria e di studenti ne ha accolti da ogni parte del mondo. Insomma secondo molti quell’annuncio era più l’eccezione che la regola in una città dove di appartamenti in affitto (spesso in nero e spesso in appartamenti malmessi) ce ne sono per tutti. Ma forse l’assoluzione è arrivata troppo presto. Perché anche oggi, nel 2018, per un lavoratore di colore, un negro, è difficilissimo trovare casa.

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A raccontare la storia di ordinario razzismo è un ragazzo italiano, Giorgio, che ha pubblicato su Facebook il racconto della surreale ricerca di un appartamento assieme ad un su amico. La ricerca della casa inizia a luglio, un periodo ideale per trovare un appartamento in affitto visto che c’è il solito ricambio degli studenti che, finita l’università, cambiano città. Giorgio e il suo amico trovano senza difficoltà un appartamento, versano la caparra, firmano il precontratto e si mettono alla ricerca di un terzo coinquilino. La casa è dietro la stazione dei treni, il quartiere è l’Arcella, spesso definito “ghetto” e considerato malfamato ma in realtà felicemente multietnico. Incontrano Alì [il nome è di fantasia NdR], un ragazzo gambiano «simpatico, lavoratore, cuoco amatoriale». Decidono di presentarlo al proprietario che inizialmente accetta ma poi accade quello che nessuno si aspetta in una città che sostiene di non essere razzista, in Paese che dice che non siamo razzisti. «Ah ma è nero?» chiede il proprietario «se mi aveste detto che era nero, vi avrei detto subito di no, senza farvi perdere tempo».

Quando il razzismo non è più una novità e diventa la norma

Mentre Giorgio non sa come rispondere l’affittuario e l’agente immobiliare non si perdono d’animo, la soluzione è semplice «basta trovare un altro inquilino e la casa è vostra». Ovviamente basta che non sia nero. Perché il problema non è certo Alì, ma il colore della sua pelle. La ricerca continua, tanto sarà un caso, in una città che non è razzista, di trovare un proprietario razzista. Ad ogni buon conto i tre mettono in chiaro che con loro c’è un nero, lavoratore.

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Niente da fare; al telefono c’è chi mette le mani avanti prima ancora che possano presentarsi: «Siete italiani? Il proprietario non affitta a CERTI TIPI di stranieri». E si capisce bene che quei “certi tipi di stranieri” non sono gli studenti Erasmus. «Grazie, non diamo soldi a un razzista», è la risposta. Le agenzie hanno i contratti di lavoro di tutti e tre e Alì ha anche fornito una lettera di presentazione da parte dei suoi coinquilini precedenti, la busta paga e pure una dichiarazione scritta da parte di una coppia di padovani che ha voluto garantire per lui. Non basta. Perché dopo il nuovo affittuario si prende tre settimane di tempo per pensarci su e alla fine la risposta è sempre la stessa, quella del messaggio WhatsApp pubblicato qui sopra che Giorgio ha condiviso su Facebook: «hanno detto che non vogliono il ragazzo di colore nonostante ci siano le garanzie». Su Facebook Giorgio si chiede «dov’è la novità?». La risposta, dopo tre mesi di ricerca e tre mesi di risposte negative è che non c’è nessuna novità. Perché il razzismo è diventato la norma. È quel razzismo di chi dice che gli stranieri che vengono per lavorare e che non sono clandestini sono ben accetti, a patto di non trovarseli come vicini di casa o come inquilini. È il razzismo di chi pretende dagli immigrati ogni sorta di garanzia, che puntualmente non bastano mai. Perché, come è successo a Aboubakar Soumahoro, anche quando sono italiani non lo sono abbastanza. E succede anche a Padova. A NeXt Quotidiano Giorgio racconta che anche un suo amico di origine marocchina ma con la cittadinanza italiana (quindi italiano) che studia all’Università di Padova «si è visto rifiutare persino le visite di appartamento a causa del suo nome “da straniero”».

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