«L’ho ucciso, ma volevo solo rubargli la coca»

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-12-01

Chi sono i due ragazzini di 14 e 15 anni che hanno ucciso Cristian Sebastiano? Quando ha confessato l’omicidio uno dei due ha spiegato di voler prendere la droga

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Chi sono i due ragazzini di 14 e 15 anni che hanno ucciso Cristian Sebastiano? I carabinieri del Comando Provinciale di Monza hanno bussato alla loro porta nella tarda serata dell’altroieri, dopo un’indagine lampo che ha permesso di indentificarli, tramite testimonianze e frame di video registrati nel quartiere popolare di San Rocco, un chilometro in linea d’aria dal centro storico del capoluogo brianzolo. Uno dei due, durante l’interrogatorio fiume durato fino all’alba di ieri, agli inquirenti ha dichiarato di aver agito per punire lo spacciatore che lo ha instradato all’uso di droga ed ha ammesso le proprie responsabilità, spiegando come entrambi lo abbiano colpito e che quando Sebastiano ha tentato di sfuggirgli, lo hanno trascinato sotto i portici per finirlo. Il suo presunto complice ha invece reso dichiarazioni “più confuse”, ma è a casa sua che i carabinieri hanno trovato e sequestrato un coltello da cucina, quasi certamente l’arma del delitto. La Stampa racconta che il ragazzino ha spiegato di voler rubare la droga a Sebastiano:

Non ha versato una lacrima, non ha chiesto perdono. La “freddezza” con cui ha retto a 12 ore di interrogatorio ha fatto impressione anche agli inquirenti. Solo alle 5 del mattino il 14enne, lo chiameremo Luca, è crollato. Ha ammesso: «L’ho ucciso, ma volevo solo rubargli la coca». Per ore, nella notte anche Giulio (nome di fantasia), l’amico 15enne, ha resistito senza fare una piega. Alla fine ha spiegato: «Luca lo odiava, perché era stato lui a trascinarlo nella tossicodipendenza».

 

“Hanno lo stesso vizio di mio figlio, le stesse debolezze, con la differenza che lui era un signore e questi sono assassini. Cristian non ha mai instradato nessuno alla dipendenza della cocaina”. Lo afferma Michele Sebastiano, padre di Cristian. “Quello che era mio figlio lo sappiamo, ma adesso non diventi lui il tossico, lo spacciatore e loro le povere vittime”, prosegue Sebastiano, “meriterebbero di essere processati come adulti, perché se solo penso che da minorenni in pochi anni me li ritroverò fuori divento matto, sarebbe vergognoso. Lo spacciatore vende, chi assume droga la cerca, funziona così e uno dei due a sua volta già vendeva droga in Stazione”. La mamma di uno dei due minori racconta un’altra storia:

Suo figlio si droga, a 14 anni frequenta uno spacciatore quarantenne, cosa avete fatto in casa?
«Faccio la badante, come mio marito… Abbiamo provato a parlargli non so quante volte. Più di una volta suo padre lo ha messo in castigo. Non lo lasciava uscire di casa. Una volta per la rabbia di questa situazione gli ha anche tirato un mazzo di chiavi addosso. Ci siamo rivolti anche al Sert, al Servizio per le Tossicodipendenze. È stato lui stesso a volerlo. Mio figlio voleva uscire dalla droga. Voleva essere aiutato. Da solo non ce la faceva. Diceva che quel suo amico grande non lo lasciava stare, lo continuava ad invitare a vedersi»

Un delitto, emerge dalle indagini, maturato in un contesto di degrado sociale, dove le relazioni tra giovani e giovanissimi sono tenute insieme da mani che si stringono forte solo per passarsi una bustina di plastica che contiene sostanze capaci di annientare la mente.

Domenica Luca e Giulio hanno pranzato insieme. Poi sono usciti. Nella tasca di Luca un coltellaccio da cucina preso, sembrerebbe, a casa di Giulio. Hanno raggiunto Sebastiano sotto i portici di via Fiume, nel quartiere San Rocco di Monza, tra i palazzoni Aler già noti alle cronache per storie di ragazzi difficili. Lo hanno avvicinato davanti al parchetto dove Sebastiano, secondo i carabinieri, era solito spacciare. Un’esistenza difficile la sua, travolta dall’eroina già all’età di 14 anni. «Ma non faceva male a nessuno. Avrebbe potuto morire di overdose, investito da un’auto. Ma non così, non lo posso accettare», ripete il padre Michele, con gli occhi lucidi dal dolore. «Io quel 14enne lì lo conoscevo, era venuto a pranzo a casa mia, mai me lo sarei aspettato»

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