Attualità
Niente risarcimento ai medici di base morti perché COVID-19 non è riconosciuto come infortunio
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-07-02
Le compagnie assicurative private escludono che il contagio possa essere considerato un infortunio e non coprono i danni. Lo fanno se l’assicurato ha stipulato una polizza anche contro le malattie, ma è una cosa molto rara perché in Italia, per fortuna, c’è il Servizio sanitario nazionale che cura gratuitamente
Giuseppe Guastella racconta oggi sul Corriere della Sera che alle famiglie dei medici di base morti sul lavoro per Coronavirus (fino ad oggi sono 171) non viene riconosciuto alcun risarcimento perché COVID-19 non viene considerato infortunio sul lavoro: per questo c’è già chi è pronto a rivolgersi alla magistratura.
Un medico, un dentista, un farmacista o un tecnico sanitario (infermieri, terapisti, radiologi ecc.) che lavorano con regolare contratto in una struttura sanitaria pubblica o privata e che si sono ammalati osi ammalano, speriamo non più, dopo essere stati contagiati da un paziente, possono contare sulla copertura assicurativa dell’Inail che considera ciò che è accaduto loro un infortunio sul lavoro. Di conseguenza, hanno diritto a un indennizzo se riportano un’invalidità permanente che, in caso di morte, viene versato ai familiari.
I medici di medicina generale svolgono un servizio — è bene ricordarlo — pubblico in convenzione con il Servizio sanitario che li paga, ad esempio, per visitare i pazienti. Non possono rifiutarsi e se vengono contagiati è obiettivamente difficile non pensare a un infortunio, ovviamente sul lavoro. Lo stesso vale per i farmacisti, per i dentisti e per tutti gli altri operatori sanitari che hanno un’attività libero-professionale che li pone a contatto con il pubblico. Questi professionisti di solito pagano volontariamente una polizza assicurativa che copre i danni da infortuni, versando in media tra i mille e i duemila euro l’anno.
Nel loro caso, a differenza dell’Inail, però, le compagnie assicurative private escludono che il contagio possa essere considerato un infortunio e non coprono i danni. Lo fanno se l’assicurato ha stipulato una polizza anche contro le malattie, ma è una cosa molto rara perché in Italia, per fortuna, c’è il Servizio sanitario nazionale che cura gratuitamente. Dall’inizio della pandemia l’Inail, spiega Patrizio Rossi, sovrintendente sanitario nazionale dell’Istituto, dati al 15 giugno, «ha ricevuto 49.021 denunce di infortuni sul lavoro da parte degli operatori del settore della sanità e dell’assistenza sociale, tra tutte la categoria più colpita con 236 decessi».
Secondo i dati mail, il maggiore numero di contagiati si è verificato tra i tecnici della salute (40,9%), seguiti dagli operatori socio-sanitari (21,3%), dai medici (10,7%) e dagli operatori socio-assistenziali (8,5%). Anche il maggiore numero dei morti è stato registrato tra tecnici della salute (12%, di cui il 60% infermieri) seguiti dai medici (9,9%) e dagli operatori sociosanitari (7,8%). «Solo gli operatori infettati sul lavoro che sono assicurati dall’Inail sono tutelati da questi rischi» precisa Rossi. Gli esclusi sono migliaia come, appunto, i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i farmacisti e i dentisti, professionalità tra le quali ci sono stati tanti contagiati e morti, tra cui 171 medici e 14 farmacisti. Per loro, quindi, le regole dell’Inail non valgono.