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L’indagine per epidemia colposa nel caso dei test sierologici a Pavia
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2020-07-29
I magistrati stanno cercando di capire se il ritardo nella partenza dei test sierologici (solo a fine aprile) possa aver contribuito al mancato contenimento della diffusione del Coronavirus SARS-COV-2
C’è anche l’epidemia colposa, oltre a peculato e turbata libertà del procedimento, tra le ipotesi di reato sulle quali sta indagando la Procura della Repubblica di Pavia in merito all’accordo tra il Policlinico San Matteo e la Diasorin per l’effettuazione dei test sierologici per la diagnosi da Covid-19. A darne notizia è oggi il quotidiano “La Provincia pavese”.
L’indagine per epidemia colposa nel caso dei test sierologici a Pavia
I magistrati stanno cercando di capire se il ritardo nella partenza dei test sierologici (solo a fine aprile) possa aver contribuito al mancato contenimento della diffusione del Coronavirus SARS-COV-2. In particolare si sta facendo luce sul periodo compreso tra il 23 marzo (data in cui venne sottoscritto l’accordo tra il San Matteo e la società piemontese) e il 17 aprile, giorno in cui arrivò l’autorizzazione al marchio CE indispensabile per effettuare i test sierologici. Attualmente sono 8 gli indagati dalla Procura di Pavia: l’avviso di garanzia è giunto nei giorni scorsi ai vertici del San Matteo e della Diasorin. La Guardia di Finanza ha effettuato perquisizioni e sequestri di documenti negli uffici del Policlinico di Pavia e dell’azienda di Saluggia in provincia di Vercelli. Della storia ha parlato il Fatto Quotidiano:
Tra gli indagati ci sono il presidente della Fondazione San Matteo Alessandro Venturi e il direttore di virologia dell’ospedale di Pavia, il professore Fausto Baldanti, responsabile scientifico del progetto. Per il quale gli inquirenti sollevano “un evidente conflitto d’interesse” peraltro già svelato da uno scoop del Fatto: Baldanti era membro del gruppo di lavoro del consiglio superiore della sanità e componente del tavolo tecnico scientifico della Regione Lombardia chiamato a decidere “l’approccio diagnostico omogeneo” per la diagnostica anti Covid-19. Un tavolo che decise di non adoperare i test rapidi pungidito “ritenuti inaffidabili sulla scorta, anche, di articoli pubblicati dallo stesso Baldanti su riviste scientifiche nonostante vi fossero pareri opposti” scrive il pm Paolo Mazza. Dopo gli articoli del Fatto, Baldanti dichiarò le dimissioni dai due tavoli.
La Lombardia decise di non usare i pungidito e aspettare che Fondazione San Matteo e Diasorin completassero il loro progetto “malgrado altri operatori del settore (tra cui Technogenetics, che ha presentato un ricorso al Tar e un esposto penale contro l’accordo, ndr) avessero manifestato reiterate manifestazioni di disponibilità” a collaborare con metodologie già validate o in possesso del marchio Ce (che il kit di Diasorin otterrà solo il 17 aprile). Il pm vuole “fare luce sui legami politici che possono avere influito sulla scelta del contraente” in Diasorin. E sottolinea che all’Insubrias Biopark, in provincia di Varese, c’è la sede di alcuni uffici sia di Diasorin Spa, sia della Fondazione Istituto Insubrico, il cui direttore generale è Andrea Gambini (non indagato, ndr) “già commissario della Lega varesina e Presidente della Fondazione Irccs Carlo Besta”. Per la Fondazione Diasorin è “un cliente di primo piano”.