Attualità
Guerlin Butungu: l'uomo dello stupro di Rimini
di Mario Neri
Pubblicato il 2017-09-04
Era armato di coltello e aveva l’orologio di una delle vittime. Ma lui nega di aver stuprato. Viveva a Pesaro, in alloggi di fortuna e aveva lo status di rifugiato. Frequentava i testimoni di Geova della zona. Poi aveva cominciato ad avere tanti soldi in tasca
Guerlin Butungu è stato fermato all’alba, alla stazione di Rimini, su un treno in movimento partito da Pesaro e diretto a Milano. Da lì avrebbe probabilmente raggiunto la Francia. È considerato il capo del branco di ragazzini accusati di avere stuprato una settimana fa una giovane donna polacca, di avere pestato a sangue l’amico che si trovava con lei e di avere poi violentato una trans peruviana. Gli investigatori della squadra Mobile di Rimini e del Servizio centrale operativo stavano seguendo i suoi spostamenti tracciando il suo cellulare. Attorno alle 2 di notte il giovane era riuscito a sfuggire all’arresto a Pesaro, ma nella corsa aveva perso i documenti; un ritrovamento che ha confermato agli investigatori di essere sulla strada giusta. Al momento dell’arresto, Butungu era armato di coltello e aveva con sé quattro bagagli e tre orologi: uno di questi era stato sottratto al giovane polacco picchiato a sangue sulla spiaggia di Rimini.
Guerlin Butungu: l’uomo dello stupro di Rimini
Congolese di vent’anni con un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido fino a settembre 2018 e la richiesta di asilo politico in itinere, è entrato in Italia il 25 novembre del 2015. Nel primo periodo è stato ospitato nella comunità di prima accoglienza di Acquaviva di Cagli, in provincia di Pesaro-Urbino. Dopo aver ricevuto lo stato di rifugiato è stato accolto nello Sprar “Invictus” di Pesaro, dove ha vissuto ospite della struttura collettiva “Freedom”, da settembre 2016 fino al 22 aprile scorso, con altri 14 rifugiati.
È stata la testimonianza di due fratelli marocchini a provocare la dissoluzione e la cattura della banda: i due ragazzi, 15 e 17 anni, nati in Italia da genitori del Marocco, sabato si erano costituiti ai carabinieri di Montecchio, frazione del comune di Vallefoglia, dove vivono, spinti dal padre, saldatore, da anni in Italia, attualmente agli arresti domiciliari per furto. I due ragazzi frequentano l’Istituto alberghiero del paese, dove sono conosciuto per piccoli furti e comportamenti aggressivi a scuola. Con il 16enne nigeriano, il terzo del gruppo, fermato sabato poco dopo la loro confessione, avrebbero frequentato una zona di Pesaro ritrovo di piccoli spacciatori, ed è attraverso il 16enne che alcuni mesi fa hanno conosciuto Butungu. Sarebbe stato lui – secondo il racconto fatto ai familiari – a costringerli ad andare a Rimini, bere birra, e poi prendere di mira la coppia. Il 17enne marocchino avrebbe anche provato a dissuadere Butungu quando ha aggredito la ragazza. Racconti e versioni che ora dovranno essere messi a confronto e verificati. Due dei tre minorenni negano di aver partecipato allo stupro, pur ammettendo di aver tenuto ferma la ragazza.
Lo stupro e il pentimento mancato
Ma dai fratelli, come dal capobranco, secondo gli inquirenti, nessun segno di pentimento. Decisiva è stata la diffusione, due giorni fa, delle immagini delle telecamere di videosorveglianza che hanno ripreso i loro spostamenti dalla spiaggia di Miramare, dove hanno violentato la giovane donna polacca e pestato il compagno (entrambi dimessi dall’ospedale hanno fatto rientro in patria) fino alla Statale Adriatica dove hanno aggredito e violentato la trans. Il padre 51enne dei due marocchini ha riconosciuto le foto dei figli sul giornale e li ha costretti a costituirsi. Così si sono presentati alla stazione carabinieri di Montecchio (Pesaro) dove risiedono.
Ieri il profilo Facebook di Butungu si è riempito di insulti mentre lui veniva portato in carcere a Rimini. La convalida è attesa per domani mattina. I minori non hanno fatto il nome del 20enne ma hanno fornito elementi utili per individuarlo. L’accusa è violenza sessuale. Butungu viveva a Pesaro in alloggi di fortuna, dopo essere uscito dal programma di “Casa Freedom” che gli aveva permesso di avere lo status di rifugiato. All’arrivo in Italia era stato affidato a una cooperativa di Cagli, nel Pesarese. Secondo i conoscenti e gli operatori della cooperativa non si era mai comportato in maniera strana. I tre minorenni sono stati portati al centro di prima accoglienza della struttura penitenziaria minorile di via del Pratello a Bologna. Nei loro confronti il procuratore per i minorenni Silvia Marzocchi ha emesso un provvedimento di fermo e i tre rimarranno al cpa in attesa della convalida e della decisione di un giudice sull’applicazione di una misura cautelare.
Le scuse di Mohamed
Mohamed, padre di quattro figli, di cui due arrestati ieri più una bambina piccola e un ragazzino di 13 anni, ha raccontato a Repubblica come sono andate le cose: «Ho visto la foto, quell’immagine della telecamera, allora li ho presi da parte, si sono messi a piangere. Gli ho detto che dovevano andare dai carabinieri, che dovevano raccontare la verità. Ho chiesto cosa aspettavano, era passata una settimana ormai. Ripeto: può succedere che uno rubi un cellulare, non che violenti una donna. Se succedesse a mia moglie, o a mia figlia una cosa del genere, io cercherei il responsabile e lo ammazzerei». E poi cosa è successo? «Sono andati dai carabinieri. Mi spiace per tutti e due, ma il più piccolo era già messo male prima. È invalido all’80 per cento, ha dei problemi. Adesso sarà peggio, chissà quando uscirà. Io ci sono già passato, ho rubato, ma per mangiare. Ho fatto delle risse, sono stato in carcere. Per loro ho fatto tutto quello che potevo. Poi sono tornato in Marocco e ho perso un po’ il controllo dei figli».
Il padre ha anche detto che il più grande dei figli gli ha raccontato che ha cercato di fermare la violenza, ma l’altro ha continuato. Le testimonianze però lo smentiscono. Guerlin Butungu, scrive Repubblica, “ha regolarmente frequentato corsi di cameriere e svolto un tirocinio lavorativo. Dal centro dicono che faceva volontariato in una cooperativa, che frequentava i testimoni di Geova della zona e che lo scorso anno era anche tesserato per la squadra di calcio del Csi “Delfini di Fano”, dove giocava a calcio”. Poi aveva cominciato a frequentare giri strani, a farsi foto con abiti costosi e ad avere un sacco di soldi in tasca. Il sospetto è che avesse cominciato a spacciare.