Fukushima: perché il Giappone vuole scaricare in mare le acque del liquido di raffreddamento dei reattori

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2019-09-10

Il ministro della Protezione Ambientale giapponese se ne è uscito ieri con la proposta di sversare in mare le acque contaminate della centrale di Fukushima. Un annuncio che ha causato un certo allarme ma che al momento, non rappresenta un vero e proprio piano operativo. Anche perché i problemi sono molti

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Nel 2011 la centrale atomica di Fukushima Daiichi è stata gravemente danneggiata da uno tsunami provocato da un terremoto di magnitudo 8,9 con epicentro al largo delle coste settentrionali del Giappone. A causa dell’impossibilità di pompare il liquido di raffreddamento nei reattori si verificarono una serie di esplosioni chimiche che danneggiarono gravemente tre dei sei reattori della centrale nucleare della TEPCO (Tokyo Electric Power Company Holdings).

Cosa è successo a Fukushima in questi otto anni

Nell’immediatezza del disastro venne decisa l’evacuazione della popolazione residente entro i 30 km dall’impianto nucleare, quasi 190mila persone. E in questi otto anni si è lavorato costantemente per mettere in sicurezza i reattori e il sito della centrale. Il problema principale è rappresentato ora dall’acqua del circuito di raffreddamento (un altra questione invece riguarda l’acqua delle falde che entra a contatto con i reattori e il nucleo di corium frutto dei meltdown). Materiale contaminato che fino ad ora la TEPCO ha stoccato in cisterne. Ma quei serbatoi, che contengono oltre un milione di tonnellate di acque contaminate, non sono più sufficienti. L’allarme era stato lanciato già a marzo, quando era stato reso noto che il sistema di decontaminazione delle acque non aveva funzionato e che quindi era stato necessario immagazzinarle nei serbatoi.

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via YouTube

Ieri il ministro della Protezione Ambientale giapponese, Yoshiaki Harada, ha dichiarato in conferenza stampa che l’unica soluzione è quella di scaricare in mare l’acqua contaminata e diluirla. Entro il 2020 o il 2022 la TEPCO ha calcolato che non avrà più spazio per lo stoccaggio del liquido di raffreddamento. Il problema è che al momento non c’è una tecnologia in grado di ripulire l’acqua dal trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Secondo la TEPCO si tratta di un isotopo relativamente innocuo che già viene rilasciato in mare dalle centrali nucleari, ma ovviamente la questione è quella della quantità e del lasso di tempo necessario al “rilascio”.

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Uno dei tre reattori esplosi come si presentava dopo l’esplosione e come è ora dopo le opere di consolidamento

Il problema è che l’anno scorso la società aveva ammesso di non essere riuscita a decontaminare completamente le acque contenute nei serbatoi e che il processo di decontaminazione richiederebbe almeno due anni. D’altra parte la società non può prendere da sola una decisione mentre il segretario di gabinetto Yoshihide Suga ci ha tenuto a precisare che quella di Harada rappresenta “la sua personale opinione” e non quella del governo nipponico.

Quanto tempo ci vorrà per “diluire” le acque provenienti dai reattori?

Il governo giapponese non ha ancora preso una decisione nel merito. Né è chiaro quanto tempo servirà per “diluire” in mare le acque contaminate. Perché il processo di smaltimento non può avvenire svuotando contemporaneamente tutte le vasche. E sarà necessario che un gruppo di esperti e scienziati si riunisca per indicare quale protocollo seguire. Secondo uno degli scienziati che siedono nel comitato di controllo sulla gestione di Fukushima – il professor Hiroshi Miyano – potrebbero servire addirittura 17 anni per diluire le acque contaminate a livelli “accettabili” e immetterle in mare.

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L’ipotesi dello sversamento nell’oceano ha però irritato i residenti della zona e i pescatori e potrebbe avere ripercussioni anche nei rapporti con i Paesi dell’area, a cominciare dalla Corea del Sud, con cui i rapporti sono al punto più basso da decenni. Seul il mese scorso ha convocato un alto funzionario dell’ambasciata giapponese per ricevere spiegazione riguardo ai piani di smaltimento. Quello che è certo è che anche i serbatoi non possono essere considerati una soluzione definitiva perché soggetti a corrosione e negli anni necessari al completo decommissioning della centrale di Fukushima (si parla di circa 40 anni) potrebbero dare luogo a perdite di materiale.

Foto copertina via YouTube, credits: TEPCO

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