L'indagine per depistaggio sul caso CONSIP

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-06-08

Matteo Renzi parla di “reato odioso” e si chiede come mai nessuno abbia nulla da dire. Il segretario del Partito Democratico non sembra essersi reso conto che se le ipotesi di reato nei confronti di Sessa risultassero veritiere, ciò costituirebbe un punto a favore dell’accusa. E inguaierebbe Del Sette, Saltalamacchia e Lotti

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Il vicecomandante del Noe Alessandro Sessa è indagato per depistaggio nell’ambito di un filone dell’inchiesta Consip. Il colonnello, secondo l’accusa, avrebbe mentito quando ha riferito di aver comunicato al suo capo, Sergio Pascali, dell’esistenza dell’indagine dopo il 6 novembre 2016. Secondo i pm lo avrebbe invece fatto nel giugno precedente, poco prima della prima fuga di notizie.

L’indagine per depistaggio nel caso CONSIP

Sessa è indagato perché lo scorso maggio in un’interrogatorio reso ai PM che indagano sulla fuga di notizie avrebbe mentito su un dettaglio di importanza fondamentale: perché se fosse vera l’ipotesi dell’accusa avrebbe aggiornato Pascali a giugno. E come elemento di prova a sostegno della tesi accusatoria i pm portano chat su WhatsApp che riguardano conversazioni tra Scafarto e Sessa, che veniva costantemente aggiornato dallo stesso Scafarto, che non aveva contatti con Pascali mentre dalle intercettazioni emergevano contatti con il comandante della legione Toscana Emanuele Saltalamecchia, attualmente indagato insieme a Luca Lotti e al comandante Tullio Del Sette.

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I protagonisti dell’inchiesta Consip (La Repubblica, 2 marzo 2017)

Ora, attenzione. Scrive Ilaria Sacchettoni sul Corriere della Sera di oggi:

Quelle chat sono state mostrate ieri a Sessa nel corso dell’interrogatorio alla presenza del suo difensore, Luca Petrucci. Ora, queste nuove acquisizioni potrebbero aiutare a comprendere meglio un punto importante: per quali strade si sia verificata quella fuga di notizie sia verso la stessa Consip (l’ad Luigi Marroni era informato perfino dell’esistenza di cimici) che verso l’entourage di Renzi.
Non va dimenticato che la rivelazione di alcuni dettagli dell’inchiesta avviata dalla Procura di Napoli è il motivo per cui sono indagati sia l’attuale ministro dello Sport Luca Lotti che i vertici dei carabinieri: il comandante generale Tullio Del Sette e il comandante della legione Toscana, Emanuele Saltalamacchia. Gli investigatori stanno ancora ricostruendo i termini di questa fuoriuscita di informazioni. A maggio scorso, quando già era stato iscritto il nome del comandante Gianpaolo Scafarto sul registro degli indagati, i magistrati romani Palazzi e Ielo hanno ascoltato il generale Pascali in qualità di persona informata sui fatti.

Ecco quindi che l’indagine per depistaggio, posto che le accuse vengano provate in tribunale e non cadano, rappresenta un punto a favore dell’accusa e non della difesa. Perché secondo i PM proprio da quella rivelazione cominciò la catena che poi arrivò a Del Sette, Saltalamacchia e Luca Lotti. E che mandò all’aria l’indagine a causa della fuga di notizie.

Il reato odioso di depistaggio

In quest’ottica non si capisce perché Matteo Renzi ieri su Facebook abbia parlato di reato particolarmente odioso: «Ti verrebbe voglia di dire: ah, e adesso? Nessuno ha da dire nulla? Tutti zitti?». Se le accuse nei confronti di Sessa fossero vere, a peggiorare sarebbero le condizioni giudiziarie dei capi delle forze dell’ordine da lui nominate e quelle del suo braccio destro Luca Lotti. Sono loro tre che dovrebbero dire qualcosa e non dovrebbero stare “zitti”, come dice l’ex premier.

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Lo status di Matteo Renzi su Facebook

Maria Elena Vincenti su Repubblica però spiega che all’indagine manca ancora un elemento: chi è il capo a cui si riferisce Scafarto?

Per questo ora, quel messaggio whatsapp scovato dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma tra quelli cancellati dal capitano Giampaolo Scafarto (indagato per falso) assume un’importanza fondamentale. «Abbiamo fatto una stupidaggine a parlare col il capo», scrive l’ufficiale al suo superiore diretto, il colonnello Alessandro Sessa, vicecomandante del Noe. Sessa aveva detto di avere parlato delle indagini al suo superiore solo in novembre, ovvero molto tempo dopo la fuga di notizie. Invece questo messaggio è del 9 agosto. Chi sia il “capo” è presto per dirlo, il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi stanno cercando di capirlo.
L’ipotesi più facile è che sia il generale Sergio Pascali, comandante del Noe e vicino a Saltalamacchia, a sua volta legato ai Renzi: fu lui a dire a ottobre a Tiziano Renzi, durante una “braciolata” a Rignano, di «non parlare con Romeo». Potrebbe invece essere qualche altro “capo”, un altro pezzo grosso dell’Arma, forse lo stesso comandante generale, già indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto. Sta di fatto che nell’Arma la notizia girava da agosto. Più o meno lo stesso periodo della fuga di notizie.

Insomma, sotto il cielo dell’indagine CONSIP è grande la confusione. E le istituzioni continuano a non farci una gran figura. La politica, nemmeno.

Leggi sull’argomento: La telefonata tra Renzi e il padre sull’inchiesta CONSIP

 

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