Coronavirus: gli anziani soli e il desiderio di curarsi o morire a casa

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-03-28

Cosa succede nelle sale operative del 118, dove  alle richieste di soccorso, ai consigli e alle paure si sono unite, per cercare una consolazione, le chiamate di chi chiede di risparmiare il tormento di una morte in ospedale ai propri genitori

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La Stampa oggi racconta cosa succede nelle sale operative del 118, dove  alle richieste di soccorso, ai consigli e alle paure si sono unite, per cercare una consolazione, le chiamate di chi chiede di risparmiare il tormento di una morte in ospedale ai propri genitori.

Paolo lavora nella sala operativa di Pianura che copre la bassa Lombardia (Pavia, Cremona, Mantova e Lodi). Al telefono del 118 ha vissuto la prima ondata dall’emergenza coronavirus. La media di 2400 richieste di aiuto al giorno solo ultimamente si è ridotta a 800. Dalla sua postazione, ha visto scorrere “il mare enorme di malattia e dolore che questa pandemia sta creando”. Che ha trasformato le persone che soffrono: “Non c’è più gente che urla, che pretende. Chi ci chiama si scusa, ringrazia, qualcuno piange.

Ma c’è una consapevolezza, una rassegnazione e una dignità che mi resteranno impresse per tutta la vita”. Per questo ha iniziato ad affidare ai social il racconto delle sue giornate al 118: “Per me è uno sfogo, mi aiuta a buttare giù i pensieri”, che continuano a pesare anche quando il turno finisce. “E poi penso che sia utile, se può servire a convincere anche una persona in più a restare a casa”. Paolo non ci sta a farsi chiamare eroe: “Non ho alcuna voglia di morire in battaglia. Alla sera voglio tornare a casa dalla mia compagna, dalla mia famiglia, dai miei gatti. Faccio solo il mio lavoro, con professionalità e a testa bassa”.

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Coronavirus: i numeri del 27 marzo in Lombardia (fonte dati)

La settimana scorsa ha preso la chiamata di Anna, che ha 75 anni e una sorella di 80 allettata dopo un ictus. Anna ha la febbre e non sa come fare. Comprende anche da sola che quelli sono i sintomi del virus. Ma deve dar da mangiare a sua sorella, non può farla morire di fame. Ha un paura di infettarla “e un profondo senso di colpa tipico di chi è malato”, racconta Paolo. “Le spiego cosa fare per evitare il contagio: usare la mascherina, i guanti, non avvicinarsi”. Non c’è altra soluzione. Anna qualche giorno dopo richiama. La febbre è salita a lei e alla sorella: hanno bisogno di aiuto.

Ma non vuole andare in ospedale, perché non vuole finire in una struttura diversa da quella della sorella: “Mi ha supplicato al telefono e alla fine, con un collega della sala operativa, siamo riusciti ad ingegnarci per organizzare il trasporto di entrambe sulla stessa ambulanza e per lo stesso ospedale”. Perché ora che è tanta la paura di morire da soli, lontani dai propri cari, molta più gente, finché può, cerca di curarsi a casa: “C’è molta più consapevolezza”. I pazienti si muniscono di saturimetro e con l’aiuto del medico generale si procurano l’ossigeno a domicilio. “I familiari ormai sanno che le strutture sono al collasso, che è difficile trovare un posto libero. Che i casi più gravi rischiano di non arrivare in tempo in Terapia intensiva, dove ci sono anche persone più giovani. Sono tormentati dal pensiero che una madre, un padre muoia da solo”.

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