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La storia del commercialista “contagiato” da una tazzina di caffè (?)

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2020-08-08

Il Messaggero oggi pubblica un’intervista a Emanuele Lusi, commercialista che si è sentito male dopo essere stato a Fregene in spiaggia e si è scoperto successivamente positivo al Coronavirus. Nell’intervista si parla di un contagio a Milano e di una tazzina di caffè, ma è giusto sottolineare che si tratta di un’ipotesi dell’uomo e non di una circostanza accertata dai medici

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Il Messaggero oggi pubblica un’intervista a Emanuele Lusi, commercialista che si è sentito male dopo essere stato a Fregene in spiaggia e si è scoperto successivamente positivo al Coronavirus. Nell’intervista si parla di un contagio a Milano e di una tazzina di caffè, ma è giusto sottolineare che si tratta di un’ipotesi dell’uomo e non di una circostanza accertata dai medici:

Ma partiamo dall’inizio. Quando e dove è avvenuto il contagio?
«I medici hanno circoscritto la fase di contagio tra il lunedì 27 e mercoledì 29 luglio. Giorni in cui per lavoro sono stato a Milano ma con tutte le precauzioni del caso. Mi muovevo in bicicletta e indossando sempre la mascherina. Non utilizzavo metro e treni. Se mi chiede come mi sono contagiato, la risposta è non lo so. Sono stato attento a ogni cosa. Le uniche due ipotesi per spiegarmi il contagio possono essere o quella di aver toccato qualcosa e, involontariamente, ho strofinato su bocca e occhi, oppure quella di aver bevuto da una tazzina di caffè, forse lavata male».

Al rientro, poi, è andato al mare a Fregene?
«Si, allo stabilimento Levante dove ricopro un incarico professionale, ma non un ruolo operativo: seguo la parte contabile e non ho contatti con il pubblico. Era sabato scorso (1 agosto) e ho passato una giornata di relax con la mia famiglia. Stavo bene e non avevo  nessun sintomo. Abbiamo anche pranzato lì».

contagiato coronavirus tazzina caffè

Era un asintomatico, dunque, inizialmente. Poi come si è evoluta la malattia? 
«La notte ho iniziato ad accusare i primi malesseri. Prima qualche brivido, poi veri tremori e freddo. Io sono abituato ad ascoltare il mio corpo. Così ho deciso di recarmi in ospedale, non prima di essermi misurato la febbre e avevo 37,6. Da lì sono iniziate le preoccupazioni, tante le immagini che si affollano nella mente».

Poi il contact tracing e la buona notizia…
«Si, la Asl ha fatto un lavoro eccezionale nella ricostruzione della filiera dei contatti. Fortunatamente nessuno delle persone che ho frequentato sono risultate positive. Nessun cluster a Fregene, nessun focolaio. Solo il mio caso isolato. E finché non sarò negativizzato ho deciso di rimanere alla Colombus, dove sono tutt’ora ricoverato».

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