Cina-Giappone, il nuovo «engagement» e la prima conseguenza

di Claudio Landi

Pubblicato il 2018-11-08

Appena conclusa la visita di Shinzo Abe a Pechino e gli incontri del primo ministro giapponese con il premier e con il Presidente cinese, arriva il colloquio telefonico fra Donald Trump e il Presidente cinese. Un caso? E poi c’è la questione della pacificazione coreana…

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Il riavvicinamento fra Cina e Giappone sembra aver prodotto, immediatamente, a stretto giro, un primo effetto: il colloquio telefonico e probabilmente il vertice bilaterale a Buenos Aires, fra Xi Jinping e Donald Trump. Alla notizia che Cina e Stati Uniti potevano riprendere i negoziati commerciali, le Borse di tutto il mondo hanno festeggiato. Ovviamente, la guerra commerciale e strategica che l’amministrazione Trump ha dichiarato a Pechino fa male a tutti, anche agli Stati Uniti. L’obbiettivo di Trump appare evidente: cercare di stringere Pechino, dopo la guerra delle tariffe, alla quale Pechino ha risposto in modo ‘attendista’ da un lato e rilanciando con la cooperazione in Asia dall’altro; e dopo il lancio della ‘clausola anti-Cina’ nei futuri accordi commerciali degli Stati Uniti. Non è proprio un caso, quindi, che questo annuncio arrivi dopo la storica visita del primo ministro giapponese Shinzo Abe a Pechino.

donald trump kkk apartheid sud africa - 5

Cina-Giappone, il nuovo «engagement» e la prima conseguenza

Quella di Abe, infatti, è stata una visita di tre giorni, e una missione di una decina di accordi economici. Per un valore complessivo di circa 18 miliardi di dollari. Una visita con un accordo monetario ‘swap’ fra le due banche centrali, Bank of Japan e People’s Bank of China, dell’importo di circa 30 miliardi di dollari. L’intesa monetaria è particolarmente interessante perchè fa parte di una rete di accordi ‘swap’ fra le banche centrali asiatiche (l’ultimo accordo del genere è stato sottoscritto immediatamente dopo la visita in Cina, sempre da Giappone con la Banca centrale indiana, Reserve Bank of India, tanto per capirci!) e che fanno intravedere uno schema di cooperazione politico-economica molto importante che comprende l’intero Far East in modo autonomo dal Fondo monetario internazionale e quindi dalle istituzioni economiche ‘storiche’ di Bretton Woods. Insomma mentre l’amministrazione Trump smantella, o cerca di smantellare le istituzioni dell’ordine globale ‘liberale’ made in Usa, le grandi economie capitalistiche d’Asia si attrezzano con ‘loro’ istituzioni figlie ovviamente di una cultura politica ben diversa, ma anch’essa di antichissimo lignaggio: la cultura dell’ordine ‘tributario’ e della civiltà ‘confuciana’. Una cultura non solo molto ‘antica’, ma anche molto impregnata da un pragmatismo fortissimo che riesce a tenere assieme contraddizioni e antitesi impossibili per la cultura politica occidentale. L’opzione ‘un paese, due sistemi’, diventata famosissima con la scelta della leadership cinese di Deng circa Hong Kong per riavere l’ex colonia britannica, garantendo però un regime politico e giuridico diverso da quelli della Repubblica Popolare, costituisce un esempio di scuola di quel pragmatismo fortissimo.

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Insomma mentre Trump smantella, l’Asia costruisce. E in particolare costruiscono Cina e Giappone. La visita, storica, di Shinzo Abe è stata importantissima di per sè, per la visita stessa oltre che per i contenuti. I due paesi hanno deciso di dare un ulteriore forte impulso ai processi negoziali per i due più importanti accordi commerciali che dovrebbero interessare il mondo asiatico, l’RCEP, L’accordo di partnership economica asiatica comprendente in primo luogo la Cina, e l’Accordo di libero scambio trilaterale Cina-Giappone-Corea del sud. La scelta cinese e giapponese di dare impulso a questi negoziati diventa ancora più politicamente importante di fronte in primissimo luogo, all’approccio bilateralista e neo-protezionistico dell’amministrazione Trump: i due processi negoziali sono entrambi tendenti a maggiori aperture economiche e di carattere multilateralistico. A conferma di un orientamento preciso delle economie capitalistiche d’Asia. In secondo luogo, la faccenda diventa importantissima a causa della recentissima ‘clausola anticinese’ del nuovo accordo Nafta 2.0, la clausola che dà agli Usa una specie di potere di interdizione per accordi commerciali di Canada e Messico nuovi con ‘economie non-di mercato’, leggi Cina. Il fatto che Cina e Giappone concordino nel rilanciare i negoziati comprendenti proprio la Cina in questo contesto è un preciso messaggio politico proprio all’amministrazione Trump. Sarà quindi oltremodo interessante vedere come il Giappone reagirà in concreto alla richiesta americana per una ‘clausola anti-cinese’ nei negoziati commerciali bilaterali. Quello che bisogna ricordare che, oggi, l’interscambio commerciali sino-giapponese è molto maggiore dell’analogo interscambio commerciale nippo-americano.

 

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Guarda caso, ma per carità è sicuramente una coincidenza, appena conclusa la visita di Shinzo Abe a Pechino e gli incontri del primo ministro giapponese con il premier e con il Presidente cinese, (e appena terminato il vertice fra lo stesso Shinzo Abe e il primo ministro indiano Narendra Modi, che conferma la vasta strategia a tutto campo del Giappone di Abe per reagire alla politica asiatica di Trump), arriva il colloquio telefonico fra Donald Trump e il Presidente cinese. Un caso? Sta di fatto che Cina e Giappone, pur mantenendo tutti i fattori di rivalità storica e strategica che ben conosciamo, hanno preso la strada del riavvicinamento, proprio quando gli Stati Uniti si sono lanciati in una politica di confronto, commerciale e strategico, con la Repubblica Popolare. Oltretutto questa dinamica geopolitica del Giappone non è frutto ‘solo’ delle politiche commerciali ed economiche di Trump (che pur hanno un fortissimo valore e significato geopolitico), ma anche di un dossier strategico specifico e molto importante, il dossier nucleare nordcoreano. Il primo ministro giapponese e l’intera elite politica di Tokio sono estremamente preoccupati per la piega che ha preso la questione coreana e per gli atteggiamenti dell’amministrazione Trump che di fatto non ha tenuto in nessun conto gli interessi giapponesi. Il dossier nordcoreano quindi è stato bene al centro del tavolo degli incontri di Shinzo Abe a Pechino. La Cina infatti a questo punto è la nazione che più di tutti e meglio di tutti può ‘garantire’ il Giappone da scelte pericolose della Corea del nord. Oltretutto, Tokyo deve tener presente l’orientamento ormai prevalente a Seul con l’attuale amministrazione liberale. La Corea del sud ormai è tutta spinta per cercare di accelerare alla riunificazione coreana: con la unificazione, nascerebbe, nel lungo periodo, una economia industriale potentissima, tanto potente da poter dare i numeri allo stesso Giappone.

 

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Quindi non può meravigliare che il Giappone, di fronte alle opzioni bilateraliste di Washington, stia cercando altre assicurazioni strategiche. E la Cina si trova nel posto giusto al riguardo. Tanto più che, nel medio periodo, la pacificazione coreana porterà in primissimo piano il gigantesco affaire della ricostruzione della Corea del nord. Un affaire che vedrà assieme i capitali di Cina, Giappone, Corea del sud ed anche Russia. Un affaire enorme, che avrà conseguenze enormi, se davvero andrà avanti, per l’intero assetto capitalistico dell’Asia orientale. Le risorse per rimettere in sesto la Corea del nord, le infrastrutture, le reti e le produzioni energetiche, lo sviluppo agroalimentare, necessarie, sono immense così come è immensa la capacità di management necessaria. La Via della seta cinese e l’industria conglomerata giapponese e sudcoreana sono pronte per iniziare questa operazione che potrebbe riscrivere la storia mondiale. La guerra di Corea riscrisse gli assetti politici e specialmente economico del mondo post seconda guerra mondiale: consentì un forte incremento della spesa militare americana, il cd ‘Keynesismo militare’ poi diventato famosissimo, nonchè la ripresa economica e industriale di quello che diventerà anni dopo la seconda economia dell’Ocse dopo gli Usa, ovvero il Giappone. Ora la pace di Corea potrebbe paradossalmente consentire un forte impegno per investimenti civili comune delle grandi economie asiatiche come capofila del nuovo capitalismo globalizzato del 21° secolo. Se le grandi nazioni dell’Asia riusciranno a governare tensioni e rivalità. Ni Hao!

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