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Carmen Barbalace: l'assessora in Calabria indagata nell'inchiesta sulla 'ndrangheta

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-07-05

La DDA le contesta i reati di abuso d’ufficio in concorso, truffa aggravata e truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche. Carmen Barbalace è una dipendente della Regione Calabria e fa parte della Giunta regionale dal 2015

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L’assessore alle Attività produttive della Regione Calabria, Carmen Barbalace, è indagata nell’inchiesta condotta dalla DDA di Reggio Calabria che ieri ha portato al fermo di 116 persone accusate di fare parte delle più importanti cosche del “mandamento” ionico della ‘ndrangheta. La notizia, pubblicata dal sito “Corriere della Calabria”, è stata confermata all’agenzia di stampa ANSA in ambienti giudiziari.

Carmen Barbalace: l’assessora in Calabria indagata nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta

I reati per i quali l’assessora Barbalace è indagata sono abuso d’ufficio in concorso, truffa aggravata e truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche. Carmen Barbalace è una dipendente della Regione Calabria e fa parte della Giunta regionale dal 2015. La vicenda che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati dell’assessore Barbalace – scrive il Corriere della Calabria – riguarda un imprenditore agricolo, Giuseppe Scaramozzino, anche lui inquisito, che, per mezzo di artifici e raggiri avrebbe simulato il possesso di requisiti, in realtà inesistenti, per partecipare a un bando e ottenere un finanziamento di 55 mila euro.

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La mappa delle famiglie di ‘ndrangheta in Calabria (La Stampa, 5 luglio 2017)


Barbalace, assieme a Giovanni Aramini e Salvatore Spinelli, in qualità di componenti della commissione di riesame delle istanze prodotte dagli esclusi della graduatoria provvisoria del bando regionale Psr Calabria (misure 112 e 121), nell’esaminare la domanda di Scaramozzino, non sottoscritta, e redigere il verbale finale, avrebbe ammesso al finanziamento l’imprenditore senza rilevare le violazioni procedurali e senza verificare che la pratica fosse espletata secondo la legge”.

L’inchiesta Mandamento

Nel “mandamento” ionico – da qui il nome dell’operazione, “Mandamento”, appunto – le cosche facevano il bello ed il cattivo tempo. Non c’era affare o appalto dove i clan non riuscissero a mettere le mani. E quando non riuscivano ad arrivare alla gestione diretta, provvedevano comunque a lucrare o con le classiche estorsioni, oppure infiltrandosi nei lavori imponendo le proprie ditte di manodopera o di nolo a caldo e freddo.

atlante 'ndrangheta

L’atlante della ‘ndrangheta (La Repubblica, 8 agosto 2016)


Il tutto, ovviamente, senza dare alcuna comunicazione alle autorità preposte dell’avvenuto subappalto, così da sviare i controlli. “Nel 2017 assistiamo a forme di schiavizzazione e di controllo del territorio tali che diventa persino difficile credere che possano essere attuati” è stato il commento del capo della Dda reggina Federico Cafiero de Raho. Le cosche erano riuscite ad infiltrarsi persino nei lavori per la realizzazione del nuovo palazzo di giustizia di Locri, dell’ostello della gioventù, del centro di solidarietà Santa Marta e di istituti scolastici, nonché nella gestione di terreni pubblici e nell’assegnazione degli alloggi popolari.

Leggi sull’argomento: La mappa delle famiglie di ‘ndrangheta in Calabria

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