Totò Riina: chi sarà il nuovo capo dei capi?

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2017-11-17

24 anni di carcere duro non hanno piegato la resistenza di Totò u’curtu, che aveva ordinato di recente anche la morte di Di Matteo. Ora si apre la corsa al successore. Con un unico candidato. Che però a lui non piaceva troppo

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Totò Riina è morto senza pentirsi e si porterà nella tomba tutti i segreti della sua carriera criminale. Secondo la DIA il capo dei capi continuava a rimanere al vertice dell’organizzazione criminale, «a conferma dello stato di crisi di una organizzazione incapace di esprimere una nuova figura in sostituzione di un’ingombrante icona simbolica». 26 ergastoli e 24 anni di 41 bis non sono riusciti a fiaccare la volontà di Totò u’ curtu. Il Messaggero racconta di un’intercettazione in cui si nominavano lui e Bernardo Provenzano:

Qualcuno ha anche pensato a un rilancio, immaginando la fine naturale dei due anziani capimafia come l’unica possibilità per “rinascere”. E i carabinieri del Ros ne hanno trovato conferma in una intercettazione registrata circa un anno fa: a parlare era Santi Pullarà, figlio di Ignazio, reggente del clan di Santa Maria di Gesù. «Minchia – dice hai visto Bernardo Provenzano? Sta morendo, mischino. Se non muoiono tutti e due, luce non ne vede nessuno: è vero zio Mario?».E lo “zio”, alias Mario Marchese, considerato l’ultimo boss di Villagrazia: «Lo so, non se ne vede lustro – mostra di essere d’accordo – e niente li frega. Ma no loro due soli, tutta la vicinanza». Come dire che per rilanciare Cosa nostra, dovrebbero morire Riina e Provenzano, ma anche gli altri padrini storici.

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Qualche mese fa, durante una visita in carcere con la moglie Ninetta ha ribadito: «Io non mi pento… a me non mi piegheranno. Io non voglio chiedere niente a nessuno, mi posso fare anche 3000 anni, no 30 anni». I suoi ordini, spiega oggi Giampiero Calapà sul Fatto, gli sopravvivono: anche i 200 chili di tritolo ordinati per Nino Di Matteo, rimarranno in attesa. Ma la cupola non si riunisce più dal 15 gennaio 1993, data del suo arresto. Secondo i magistrati di Palermo in questi ultimi anni in Cosa nostra non ha davvero prevalso la strategia della “sommersione”, ma più semplicemente la “piovra” è ancora in difficoltà dal punto di vista militare dopo la repressione dello Stato negli anni 90; ma i capi mandamento sono alla finestra per capire l’evoluzione politica del Paese, da che parte schierarsi cercando sponde o come e quando attaccare.

Totò Riina e il nuovo capo dei capi

Non c’è però discussione sul suo successore: Matteo Messina Denaro ha già raccolto idealmente il testimone di Riina, che non ebbe nemmeno Bernardo Provenzano a cui i capi mandamento si sono sempre rifiutati di obbedire.

D’altra parte, proprio dal carcere, il16 novembre del 2013, giorno del suo compleanno come ieri, tre anni prima di entrare in coma, Riina pronuncia la sua sentenza di morte contro Nino Di Matteo: “Organizziamola questa cosa, facciamola grossa e non parliamone più ”. Già qualche giorno prima,il 26 ottobre, aveva detto al suo compagno di passeggiate nell’ora d’aria, riferito a Di Matteo: “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. Perché “ne dovrebbero nascere mille l’anno come Totò Riina ”(18 agosto 2016), ma così non è, sostiene, ed è per questo motivo che il boss di Corleone non ha mai passato davvero la mano. L’erede al trono, però, Matteo Messina Denaro, “è l’unico che adesso può reclamare il potere su tutti i capi mandamento”, spiega più di un inquirente al lavoro sulle mafie.

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Il 4 settembre 2013 Riina in carcere dice: “Una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro, però che cosa per ora questo, che io non so più niente. L’unico ragazzo che poteva fare qualcosa perché era dritto… Non ha fatto niente… un carabiniere… io penso che se n’è andato all’estero”. Una sorta di scomunica per l’unico in grado di prendere le redini di Cosa Nostra, che però resta l’unico e adesso ne avrà la vera occasione. Di Cosa Nostra e delle altre mafie, perché proprio Riina negli anni 80 affilia a Cosa Nostra famiglie di Napoli (come prima aveva già fatto Luciano Liggio con i Nuvoletta) e “perché dal punto di vista simbolico era percepito – spiega un’altra fonte –come una sorta di vertice di tutte le organizzazioni mafiose”.

Il capo dei capi, appunto.

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