Attualità
Santino Sabella: il sindaco arrestato nel blitz antimafia di Agrigento
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2018-01-22
I pm della dda di Palermo gli contestano di avere concordato le candidature delle ultime comunali del 2014 con esponenti mafiosi. L’accusa è di concorso esterno
I carabinieri del comando provinciale di Agrigento, su disposizione della DDA di Palermo, hanno eseguito l’arresto di 56 tra boss e gregari dei mandamenti di Cosa nostra agrigentina. L’inchiesta, la più imponente mai messa a segno nel territorio, ha disarticolato i “mandamenti” di Santa Elisabetta e Sciacca e ha colpito 16 “famiglie” mafiose. Coinvolti uomini d’onore anche delle province di Caltanissetta, Palermo, Enna, Ragusa e Catania.
Santino Sabella: il sindaco arrestato nel blitz antimafia di Agrigento
Tra gli arrestati nel maxi blitz che ha portato in cella oltre 50 tra boss e gregari della mafia di Agrigento c’è anche il sindaco di San Biagio Platani, paese della provincia. In manette, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, è finito Santino Sabella eletto alle ultime amministrative. I pm della dda di Palermo gli contestano di avere concordato le candidature delle ultime comunali del 2014 con esponenti mafiosi di vertice del suo paese e fatto illecite pressioni nell’assegnazione di appalti.
In carcere, tra gli altri, è finito Francesco Fragapane, 37 anni, figlio dello storico capomafia di Santa Elisabetta Salvatore, da anni ergastolano al 41 bis. Scarcerato nel 2012 dopo aver scontato sei anni di prigione, Fragapane ha ricostituito e retto lo storico mandamento che comprende tutta l’area montana dell’agrigentino e i paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini. Fragapane era poi stato riarrestato e nuovamente liberato la scorsa estate: attualmente era sorvegliato speciale. Nell’inchiesta sono coinvolti diversi familiari del padrino di Agrigento e capimafia a lui alleati. L’indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri. Le accuse contestate vanno dall’associazione mafiosa al traffico di droga, alla truffa, estorsione e a un’ipotesi di voto di scambio. L’inchiesta dei carabinieri che ha portato all’arresto di 56 mafiosi agrigentini ha svelato legami tra le cosche locali e la mafia di tutte le province di tutta la Sicilia e le ‘ndrine calabresi. Accertate 27 estorsioni a imprese, negozi e anche a cooperative che si occupano dei richiedenti asilo. Sette società riconducibili ai clan sono state sequestrate.