Le risate sul terremoto in Emilia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-01-28

«È caduto un capannone a Mirandola», dice il primo. Valerio ridendo risponde: «eh, allora lavoriamo là… Blasco: «ah sì, cominciamo facciamo il giro…», si legge nell’ordinanza del GIP. 117 tra arresti e fermi, sgominata la ‘ndrangheta in Romagna

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Risate sul terremoto in Emilia, come all’Aquila. Sono in un dialogo citato nell’ordinanza del Gip tra due indagati, Gaetano Blasco e Antonio Valerio: «È caduto un capannone a Mirandola», dice il primo. Valerio ridendo risponde: «eh, allora lavoriamo là.. Blasco: «ah sì, cominciamo facciamo il giro…», si legge. La conversazione intercettata è del 29 maggio 2012, il secondo giorno del sisma emiliano. La telefonata è delle 13.29, la scossa devastante, annota l’ordinanza era stata alle 9.03. Blasco e Valerio sono due indagati ritenuti tra gli organizzatori dell’associazione a delinquere di stampo mafioso, contestata nell’inchiesta sulla ‘ndrangheta Aemilia. I due avevano contatti e rapporti d’affari con la Bianchini Costruzioni, azienda coinvolta nell’indagine. La conversazione è citata quasi come simbolica in apertura di un capitolo dedicato proprio alle infiltrazioni nell’attività di ricostruzione post-terremoto.

LE RISATE SUL TERREMOTO IN EMILIA
Ma c’è di più. Si può dire che la ‘ndrangheta arriva prima dei soccorsi, o comunque in contemporanea. Così si scrive nell’ordinanza del Gip Alberto Ziroldi nella sezione dedicata alle infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori legati al sisma 2012. Le indagini hanno permesso di ricostruire con chiarezza il perimetro soggettivo all’interno del quale ha avuto luogo l’infiltrazione criminale. Che si è prevalentemente realizzata attraverso una perversa joint venture tra l’impresa Bianchini Costruzioni srl. di San Felice sul Panaro (Modena) ed uno dei principali esponenti della consorteria investigata, cioè Michele Bolognino, uno dei promotori della contestata associazione a delinquere di stampo mafioso. Delle 117 misure restrittive disposte dal gip Alberto Ziroldi di Bologna su richiesta della Procura (pm Marco Mescolini), 54 sono arresti per associazione di stampo mafioso. Ai vertici dell’organizzazione, tra le sei persone indivuate come “promotori” dell’associazione mafiosa, c’è Nicolino Sarcone, nome noto e molto discusso a Reggio Emilia, oltre che già condannato per estorsioni e associazione di stampo mafioso. Se Sarcone era a capo della zona di Reggio Emilia, Michele Bolognino ‘sovrintendeva’ alla zona di Parma e bassa reggiana, Alfonso Diletto alla bassa reggiana, Francesco Lamanna alla zona di Piacenza, Antonio Gualtieri tra Piacenza a Reggio Emilia. Il coordinamento delle diverse zone, poi, era affidato a Romolo Villirillo. Tutti sono finiti in carcere per associazione di stampo mafioso, così come gli “organizzatori” Giuseppe Giglio, Salvatore Cappa, Antonio Silipo, Gaetano Blasco e Antonio Valerio. Gli affiliati individuati dalla Procura sono di più, in totale 68: alcuni hanno avuto misure cautelari per altri reati (Lauro Alleluia, Giuseppe Aiello, Giuliano Floro Vito, Luigi Silipo, Gaetano Oppido, Domenico Amato e Carmine Arena), mentre per altri sei il gip ha rigettato le richieste (ma la Procura fara’ appello).
 
DOVE LAVORAVANO LE DITTE
Recupero di rifiuti e gestione delle macerie per i danni provocati dal terremoto del 20 e 29 maggio 2012 nella Bassa Modenese. Erano questi i principali lavori affidati alla impresa edile di Augusto Bianchini, arrestato nella maxi operazione “Aemilia” di contrasto alla ‘Ndrangheta. L’imprenditore, grazie alla collaborazione di Giulio Gerrini, responsabile dell’ufficio Lavori pubblici del Comune di Finale Emilia ora ai domiciliari, si era aggiudicato anche alcuni lavori di ricostruzione della nuova scuola. L’azienda di Bianchini era stata esclusa dalla “white list” messa a punto dalla Regione Emilia-Romagna che ha coordinato i lavoro di ricostruzione del post-terremoto, in quanto a rischio di infiltrazioni malavitose. Sulla prevenzione delle infiltrazioni nella ‘Ndrangheta nelle attivita’ economiche emiliane “bisognava fare qualcosa in piu'” secondo il procuratore capo di Bologna, Roberto Alfonso. “Tante volte non sono stati colti i segnali che l’organizzazione” mafiosa “mandava attraverso la sua attivita'”. Le white list, comunque “sono state molto utili” perché quelle “informazioni ci hanno fatto capire come si muovevano le aziende di cui erano titolari”. “Qui l’organizzazione cutrese era radicata da tempo – ha aggiunto il procuratore -. Sono presenti da circa 32 anni, e’ un’associazione che man mano si e’ sviluppata e i suoi affiliati sono riusciti a penetrare nella societa’ emiliana di cui fanno parte a pieno titolo, questo consente loro di avere interlocuzioni dirette” per esempio negli uffici comunali. Secondo il procuratore capo, Roberto Alfonso, non sempre l’opinione pubblica è in grado di interpretare la profondità delle infiltrazioni malavitose perché mancano episodi delittuosi. “Le aziende sane – ha spiegato – non riescono a capire che si tratta di attivita’ delittuose” anche se in realta’ “a Reggio Emilia non sono mancati incendi, danneggiamenti e minacce”. Con questi arresti “speriamo che finalmente l’opinione pubblica si renda conto che molti segnali provengono da queste organizzazioni criminali. Quindi è bene coglierli, difendersi e cercare e di respingerle”.
 

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