Attualità
Perché il terremoto torna a colpire
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2017-01-19
La nuova faglia più a Sud scatena le scosse a ripetizione. Si è formata una lunga frattura che si sviluppa per alcune decine di chilometri e che nel tempo si è mossa per circa due chilometri
Perché il terremoto torna a colpire? Questa infografica pubblicata oggi dal Corriere della Sera ci aiuta a comprendere cosa sta succedendo. I terremoti che si sono registrati dallo scorso agosto a ieri sono localizzati in un’area del nostro Paese che ha precise caratteristiche orografiche: a differenza degli altri gruppi di montagne che si trovano nell’Appennino Centrale (costituiti da rocce carbonatiche, ossia da calcari e dolomie) le aree del sisma sono caratterizzate da rocce che i geologi chiamano di origine «torbiditica», la cui età è di circa 6-7 milioni di anni. Una successione torbiditica è composta da arenarie, cioè materiale fino come sabbia e argilla. Queste rocce sono il risultato di materiale che è scivolato lungo varchi sottomarini in seguito al sollevamento e al corrugamento del Gran Sasso: ci sono state quindi vere e proprie frane sottomarine. Tra 2 e 3 milioni di anni fa in seguito ai movimenti cui sono stati sottoposti gli Appennini nel loro insieme e in particolare dopo l’innalzamento del gruppo del Gran Sasso più a sud, si è formata una lunga frattura che si sviluppa per alcune decine di chilometri e che nel tempo si è mossa per circa due chilometri.
Gli esperti del CNR ieri hanno parlato di contagio sismico, innescato dall’attivazione della faglia che ha causato il terremoto del 24 agosto 2016. Spiega oggi Giovanni Caprara:
In una animazione generata dai computer dell’Ingv con i dati raccolti dalla rete dei sismometri emergeva che le onde si sono propagate con diversa velocità a seconda delle caratteristiche topografiche e geologiche che incontravano. È noto che tutta la regione è giudicata dalla mappa nazionale di pericolosità sismica ad alto rischio. Qui alla base dei terremoti c’è lo stiramento trasversale della crosta appenninica per cui abbiamo il mare Adriatico che si allontana dal mare Tirreno mentre la microplacca adriatica si incunea sotto le Alpi. Finora si sono misurati 3-4 millimetri di distensione ogni anno. Potranno sembrare pochi ma in cento anni l’allontanamento raggiunge i quattro metri generando nel sottosuolo cambiamenti non di poco conto.
A questo si deve aggiungere la spinta verso Nord della placca africana che genera altri mutamenti ed effetti più immediati, ad esempio, sulle regioni meridionali. Movimenti complessi e combinati fra loro, quindi, difficili da diagnosticare nelle loro conseguenze. «A lungo termine si creano dei cicli sismici che rilasciano energia in modo irregolare — nota Amato —. Ogni ciclo è unico, difficilmente uguale ad un altro e dipendente sempre dalla costituzione delle rocce che conosciamo solo da lontano. Inoltre le faglie non si muovono tutte insieme, ma a macchia di leopardo».