Attualità
Perché Maurizio De Giulio rischia l'omicidio volontario per la morte di Elisa Ferrero
di Mario Neri
Pubblicato il 2017-07-11
Sull’asfalto i militari non hanno notato segni di frenata, soltanto tracce di trascinamento. Il testimone: «L’inseguimento è durato quasi un chilometro, fino alla rotonda». Cosa dice la legge
“Io l’ho fatta, io la pago”: questo lo sfogo con i presenti, subito dopo l’incidente, di Maurizio De Giulio, il 50enne di Nichelino che ieri, su una strada statale in Valle di Susa, dopo una lite ha inseguito e speronato due giovani a bordo di una moto Ktm provocando la morte di Elisa Ferrero di 27 anni e il ferimento gravissimo del fidanzato 29enne Matteo Penna.
Perché Maurizio De Giulio rischia l’omicidio volontario per la morte di Elisa Ferrero
L’artigiano, ora recluso al carcere Lorusso e Cotugno con l’accusa di omicidio stradale, era alla guida di un furgone Ford Transit, con la compagna e la figlia di lei. Dalle prime ricostruzioni, sembra che a causare la lite sia stata una mancata precedenza. A quanto si apprende, il van non avrebbe lasciato passare la moto. A quel punto i due ragazzi si sarebbero accostati al furgone e lì sarebbe iniziata la discussione. Sulla dinamica dell’incidente indagano i carabinieri, coordinati dal pm Paola Stupino. De Giulio, difeso dall’avvocato Matteo Del Giudice, sarà sentito nelle prossime ore dagli investigatori.
La Stampa spiega oggi che per Maurizio De Giulio potrebbe scattare l’accusa di omicidio volontario:
C’è anche un precedente: la condanna a 21 anni e 4 mesi di carcere per Ilir Beti, immigrato albanese, che uccise quattro turisti francesi guidando ubriaco e contromano a 150 chilometri l’ora sulla A26, tra Ovada e Predosa, il 13 agosto 2011. Per i giudici, con quel comportamento ha accettato il rischio di uccidere. Dolo eventuale. Condanna in Cassazione. Ma la procura di Torino non ha elementi per arrivare a questa conclusione anche riguardo all’incidente di domenica sera. Il pm Stupino vuole chiarire se ci siano stati inseguimenti, scarti improvvisi, frenate. E attende anche le conferme sul tasso di alcol nel sangue di De Giulio: 1,42 grammi per litro poco dopo l’incidente, sceso a 1,15 un’ora più tardi.
La moto trascinata per 50 metri
Sull’asfalto i militari non hanno notato segni di frenata, soltanto tracce di trascinamento (una cinquantina di metri) lasciate dalla moto, rimasta incastrata tra le ruote anteriori e il paraurti del furgone. MIlena Zuniga Lecca., la donna che si trovava in auto con Maurizio De Giulio, dice però che una frenata deve esserci stata: «Maurizio deve aver frenato. La moto anche e si sono scontrati». A metterlo in difficoltà con la giustizia ci sono anche i precedenti:
E De Giulio, a scavare nel suo passato anche piuttosto recente, non sembra essere nuovo a scatti d’ira incontrollata. Perché non c’è soltanto l’episodio di sette anni fa, dopo una lite con l’ex moglie. I due si erano denunciati a vicenda per questioni legate all’affidamento dei figli. Lui dopo l’ultima sfuriata, ubriaco, si è ribaltato contro alcune auto incolonnate e aveva aggredito i vigili intervenuti sull’incidente, che lo invitavano a salire sull’ambulanza per raggiungere l’ospedale. Qui, trovandosi davanti due carabinieri, li aveva minacciati e insultati. Così era scattato l’arresto.
Ottobre 2015. A Torino, una signora è ferma al semaforo, parla con il marito usando il vivavoce. Quando riparte viene fermata da un furgone nero, un Ford Transit, che le sbarra la strada. L’uomo al volante scende e prende a pugni il suo finestrino. Le fa cenno di abbassarlo. La insulta: «Mi sei passata davanti». Le afferra il collo quasi a volerla strozzare e le rompe gli occhiali da vista. Intervengono altri automobilisti e la vittima riesce a scappare. Ma è questione di poche centinaia di metri, poi il traffico la costringe a fermarsi. L’uomo è di nuovo lì, alle sue spalle, come impazzito. Passata la paura, sono alcuni passanti a darle il numero di targa di quel furgone. E quando lei presenta querela, spunta il nome di Maurizio De Giulio.
Anche il Corriere della Sera scrive che la sgommata nera di una frenata trovata da chi indaga impedisce per ora l’accusa di omicidio volontario.
La ricostruzione della dinamica
La cronaca torinese di Repubblica riporta la testimonianza di Luca Gilardi, amico della coppia: «Ho visto il furgone che si è lanciato all’inseguimento di Matteo. Io me ne sono accorto perché ero dietro. Lui no, non ha visto niente e non si è reso conto, se avessimo avuto gli auricolari e un interfono magari averei potuto avvisarlo ma così non ho potuto fare niente. Non sono riuscito a superare il furgone». L’inseguimento è durato quasi un chilometro, fino alla rotonda. «Il furgone a quel punto ha sorpassato tre o quattro macchine, poi è rientrato in carreggiata ed è andato contro la moto di Matteo». Il Transit ha frenato? «Non posso dirlo con certezza, ero troppo preso a vedere quello che era successo per rendermene conto, ma di sicuro li ha investiti ad una fortissima velocità». Li ha schiacciati contro il guardrail e lo schianto ha distrutto anche il muso del furgone. «Matteo ed Elisa sono stati trascinati, il furgone è passato sulla ragazza».
Infine, sempre su Repubblica Torino, il professore di diritto Marco Pellizzero spiega: «Se non verrà contestato un reato più grave, ma la pm confermerà l’omicidio stradale, si può arrivare fino a 18 anni: il nuovo reato prevede infatti che in un caso come questo, dove oltre alla morte ci sono anche le lesioni gravissime per il motociclista, la pena venga aumentata fino al triplo. Se invece fosse dimostrato che voleva uccidere, si potrebbe arrivare a pene molto più elevate, anche perché questo fatto è avvenuto per futili motivi, come spesso capita purtroppo nell’ambito degli incidenti stradali o comunque in vicende che nascono per una mancata precedenza».