Attualità
Perché coltivare cannabis in casa non è più reato
neXtQuotidiano 27/12/2019
La sentenza: «Non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale» sono «le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, per lo scarso numero di piante, per il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, per la mancanza di ulteriori indizi di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
Non è più reato coltivare a casa piantine di marijuana per uso personale. Lo ha deciso poco prima di Natale la Cassazione, modificando la linea rispetto alla propria decisione del 2008 sulla coltivazione di piante dalle quali siano ricavabili sostanze stupefacenti, e mettendo così fine alle successive oscillazioni della giurisprudenza delle singole sezioni della Suprema Corte. Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera spiega come gli ermellini sono giunti alla storica decisione:
Ora le Sezioni Unite della Cassazione, rispondendo a un quesito sollevato dalla terza sezione in un caso nel quale la Corte d’Appello di Napoli aveva condannato un 29enne a 1 anno per coltivazione di due piantine e cessione di uno spinello, muovono da una premessa: il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile «indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza», giacché sono «sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e produrre sostanza stupefacente».
Ma aggiungono un «però» decisivo: «Però non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale» sono «le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, per lo scarso numero di piante, per il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, per la mancanza di ulteriori indizi di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».
La pronuncia ha preso le mosse dal caso di una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di marijuana, una alta un metro e con 18 rami e l’altra alta 1,15 metri e con 20 rami. La notizia è stata accolta con favore dal mondo della politica, almeno a stare alle prime dichiarazioni. Secondo il senatore M5S Matteo Mantero “la Cassazione ha aperto la strada, ora tocca a noi. Fino a questa storica sentenza comprare Cannabis dallo spacciatore, alimentando la criminalità e mettendo a rischio la propria salute con prodotti dubbi, non costituiva reato penale mentre coltivare alcune piante sul proprio balcone per uso personale poteva costare il carcere”.
Parla di “svolta positiva della Cassazione” anche il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, secondo il quale la decisione degli ermellini sulla liceità della coltivazione domestica della cannabis “è piena di ragionevolezza”. E questo perché “si rompe un tabù. Ora andiamo avanti: con cannabis legale avremmo più sicurezza e miliardi per lo Stato sottratti alla criminalità”. Soddisfatto anche Riccardo Magi, anch’egli di +Europa, che giudica come “una buona notizia natalizia” la sentenza della Cassazione che “ha fatto valere il buon senso e la logica con l’equiparazione della coltivazione per uso personale al consumo, ora tocca al Parlamento, dove sono depositate diverse proposte che vanno decisamente in questa direzione – tra cui la legge di iniziativa popolare ‘Legalizziamo’ promossa da Radicali italiani e Associazione Coscioni e una proposta di iniziativa parlamentare recentemente depositata con firme di deputati di diversi gruppi – per superare una normativa illogica e sbagliata”.
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