Lotus Birth: la mamma che si è opposta al taglio del cordone ombelicale

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-09-17

È successo a San Daniele del Friuli. Quando il bimbo ha cominciato a rischiare infezioni i medici hanno avvertito la procura

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All’ospedale di San Daniele del Friuli (Udine) una donna aveva deciso di partorire secondo i dettami della «Lotus Birth», un approccio olistico che nel 1974 era stato mutuato dall’ideatrice osservando il comportamento di uno scimpanzé, che non aveva reciso il cordone ombelicale lasciandolo attaccato alla placenta. Secondo le sue convinzioni si doveva staccare da solo. A quel punto i medici hanno telefonato alla Procura della Repubblica e sono stati autorizzati a procedere con immediatezza con la recisione del cordone e il posizionamento precauzionale del neonato in incubatrice. Nel frattempo anche la mamma e il papà avevano capito che non era il caso di rischiare e avevano concesso il loro benestare. La situazione si è normalizzata nell’arco di alcune ore.
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La placenta viene lavata e conservata in un apposito sacchetto, a volte cosparsa di sale grosso ed erbe per favorirne l’essiccamento, e di qualche goccia di olio profumato per mascherarne il cattivo odore, e trasportata sempre con il neonato. Dopo qualche giorno il distacco del cordone avviene in modo naturale. I seguaci di questo tipo di maternità sono persuasi che si ottenga un migliore attaccamento alla madre dal punto di vista psicologico, ma anche un rafforzamento delle difese immunitarie ed uno sviluppo armonioso. Per il britannico Royal College of Obstetricians and Gynaecologists invece la scelta è pericolosa e si corre il rischio di infezioni per i batteri presenti nella placenta quando questa ha esaurito il suo compito.
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Il Procuratore capo del capoluogo friulano, Antonio De Nicolo, ha definito la vicenda un «segno triste dei tempi, che dimostra a che punto è arrivata la medicina preventiva». Il bambino stava iniziando a mostrare segni di sofferenza fetale, per questo la risposta è stata ovvia e immediata: proteggerlo. «La missione dei medici è salvare vite. Se esiste un pericolo di vita, il trattamento va fatto. I medici devono essere liberi e sereni nello svolgere il loro lavoro». Il caso è comunque aperto, perché non è escluso che la madre sporga denuncia.

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