L'Italia in guerra su richiesta di Obama

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-10-07

Le pressioni americane per il bombardamento dell’Iraq da parte dell’Italia proseguono, con richieste da Washington, dalla NATO e dal governo irakeno, proprio mentre arriva in visita nel Belpaese il capo del Pentagono Ash Carter, che ieri ha incontrato Roberta Pinotti a Sigonella e oggi vedrà il presidente della Repubblica

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Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato la notizia, subito smentita dal ministero della Difesa, che l’Italia stava per entrare in guerra bombardando l’Iraq. Oggi Repubblica torna sull’argomento spiegando che la richiesta arriva direttamente da Barack Obama, mentre ancora il Corriere racconta che il premier sa che dovrà affrontare la contrarietà dell’opinione pubblica.

L’Italia in guerra su richiesta di Obama

Alberto D’Argenio su Repubblica dice che le pressioni americane per il bombardamento dell’Iraq da parte dell’Italia proseguono, con richieste da Washington, dalla NATO e dal governo irakeno, proprio mentre arriva in visita nel Belpaese il capo del Pentagono Ash Carter, che ieri ha incontrato Roberta Pinotti a Sigonella e oggi vedrà il presidente della Repubblica.

E sembra difficile che alla fine il governo, nonostante le preoccupazioni di Palazzo Chigi e di diversi ministri, potrà dire di no agli alleati. In queste ore Renzi insieme ai suoi consiglieri e ai ministri interessati — a partire da Pinotti, Gentiloni e Alfano — sta valutando i pro e i contro della scelta. Da un lato pesano i timori. Primo, da quasi un anno, sin dall’inizio della sua attività, l’Italia è parte della Coalizione internazionale anti-Daesh in Iraq. Ma nessun nostro militare, tanto meno i piloti, ha mai premuto il grilletto. Finora i Tornado si sono limitati a “illuminare” i bersagli dell’Is poi colpiti dai cacciabombardieri dei partner. Passare ad un ruolo attivo, si ragiona nel governo, esporrebbe il Paese già più volte minacciato dai terroristi di Al Baghdadi a ulteriori rischi attentati, a maggior ragione con il Giubileo alle porte.
Oltre al rischio terrorismo, nell’esecutivo ci sono perplessità di carattere politico sulla compattezza della maggioranza di fronte a una simile scelta, con la minoranza Pd che potrebbe sfilarsi mettendo in grave imbarazzo Renzi, tanto più a pochi giorni dalla strage shock dell’ospedale di Medici senza frontiere in Afghanistan. Anche per questo il governo, confermando che il tema è sul tavolo, ieri non si è sbilanciato, coprendosi di fronte al fatto che la richiesta formale da parte della Coalizionee di Bagdad non è ancora arrivata. Per non agitare le acque si punta a rinviare la decisione, da portare in Parlamento, più in là possibile, quantomeno dopo l’approvazione della riforma costituzionale inSenato. A quel punto però i nodi verranno al pettine. E dire di no, confermano dietro le quinte diversi membri del governo, «sarebbe difficile».

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L’Italia in guerra su richiesta di Obama: la missione (Repubblica, 7 ottobre 2015)

Il Corriere della Sera però spiega che l’uscita della notizia ha complicato le cose. Chi lavora con il presidente del Consiglio la mette in questo modo: «La cosa non era ancora stata discussa con il Quirinale e negoziata in modo adeguato con gli alleati». E aggiunge anche che i militari italiani hanno avuto un ruolo nella richiesta:

Di sicuro Renzi ha ben chiaro che in questo momento «l’opinione pubblica è contraria» a un tipo di svolta di questo tipo: anche per questa ragione, nelle ultime settimane, nonostante l’insistenza dei nostri apparati militari, una richiesta diretta del governo iracheno e una richiesta ufficiosa degli alleati americani, ha soppesato i pro e contro di una decisione, senza arrivare alla conclusione del dossier.
I nostri militari impiegati in Iraq hanno presentato in questo modo la richiesta di un salto di qualità: attualmente, è la rivendicazione e insieme la recriminazione, il sistema di puntamento e ricognizione degli obiettivi da parte dei nostri Tornado espone i nostri piloti a rischi molto grossi senza la possibilità di avere un controllo dell’azione (poi fanno fuoco gli aerei olandesi); secondo punto: non sparando non facciamo parte del processo di decisione, veniamo tagliati fuori da una serie di informazioni cruciali, che invece condividono solo coloro che effettuano bombardamenti; terzo punto, aspetto finanziario da non sottovalutare: un nostro upgrading in Iraq richiederebbe finanziamenti adeguati e sicuramente non ridotti, cosa che andrebbe fissata nell’imminente legge di Stabilità.

Il ruolo dei militari italiani

Ecco quindi che la precisazione sul ruolo dei militari italiani fa il paio con quanto dicevamo ieri, visto che c’è chi ad esempio osserva che bisogna guardare al lato nascosto della vicenda per capirci qualcosa. In effetti, pare piuttosto strano che la notizia del bombardamento arrivi mentre si cominciano a discutere nuovi tagli alla Difesa, tanto più che la fetta più significativa taglierebbe con l’accetta i finanziamenti per l’ammodernamento dei sistemi d’arma, facendo infuriare i generali.

In tale inizio di braccio di ferro, con posizionamenti preventivi che avvengono nei giorni di discussione del DEF e all’immediata vigilia della preparazione della bozza di Bilancio dello Stato che sarà portata alla discussione del Parlamento, quale carta migliore di una “necessità operativa” per difendere i fondi destinati alla spesa militare? Quale migliore scusa per un rafforzamento (altro che tagli!) del budget della Difesa di una bella eventualità di impegno diretto contro le milizie terroriste dell’Isis (anche se il dove, con quale intelligence e con quali obiettivi… ovviamente sono elementi che non è dato sapere…)? Una “carta” magari giocata anche perché qualcuno – sia al Corriere che al Governo – ritiene davvero, come una patologica “coazione a ripetere”, che solo le bombe possano risolvere i problemi di quelle martoriate terre.

Rimane che l’impossibilità di andare in missione senza un voto del parlamento avrebbe dovuto quantomeno essere spiegata o superata in maniera più dialettica che attraverso un “non è detto” alla fine dell’articolo. Evidentemente questo non depone a favore della sua credibilità.

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