La strage mancata allo Stade de France

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-11-15

L’obiettivo principale dei terroristi a Parigi era lo Stade de France. Volevano entrare e provocare una carneficina come in Batman. Ma il piano è fallito per i controlli. E questo dimostra che erano pazzi, disorganizzati e stupidi. Per questo sono più pericolosi

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Ore 21:20, Stade de France. Un uomo si avvicina ai cancelli D della struttura che sta ospitando l’amichevole Francia-Germania. È munito di regolare biglietto, vorrebbe entrare ma i gendarmi si accorgono che ha una cintura di kamikaze addosso. Scopriremo poi che ha un gilet «composto di TATP (l’esplosivo), pile collegate a un detonatore a bottone, e bulloni, per aggravare ancora di più gli effetti dello scoppio». Riescono ad allontanarlo e lui si fa esplodere. È il segnale convenuto che qualcosa è andato storto nel piano degli attentati di Parigi. Dieci minuti dopo una seconda esplosione scuote lo stadio, stavolta davanti alla porta H. Un altro terrorista si è appena fatto esplodere senza riuscire a fare vittime, anche lui porta lo stesso gilet esplosivo. Alle 21:53 una terza esplosione, stavolta davanti al McDonald’s dello stadio. Un altro terrorista, probabilmente dotato di biglietto, e che ha capito che non sarebbe riuscito a entrare dopo il primo scoppio. Il film degli attentati continua con la strage al Bataclan e gli attacchi ai ristoranti.

La strage mancata dello Stade de France

Accanto al corpo smembrato del terrorista viene trovato il cadavere di un passante. Sarà l’unica vittima allo stadio. Secondo una testimonianza raccolta dal Wall Street Journal, il kamikaze aveva un biglietto e ha cercato di entrare allo stadio per farsi esplodere in mezzo alla folla, cosa che avrebbe provocato probabilmente una calca di spettatori terrorizzati e destinati alla morte. Ma gli agenti di sicurezza si sono accorti che l’uomo portava un gilet esplosivo e sono riusciti ad allontanarlo prima che si facesse esplodere. Ed era proprio questo il piano dei tre kamikaze: entrare da tre punti diversi muniti di regolare biglietto e poi farsi esplodere tra gli spettatori, provocando forse la più grande carneficina dei tempi moderni in Europa.

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La ricostruzione degli attentati di Parigi (Corriere della Sera, 15 novembre 2015)

I terroristi ci mettono 33 minuti a portare a termine un piano di riserva dopo che il loro primo obiettivo è fallito. E questo dimostra qualcosa. In primo luogo, che pensare di riuscire ad entrare in uno stadio con una cintura esplosiva proprio quando la tribuna autorità è piena di politici e star durante un’amichevole di lusso come quella tra Francia e Germania non depone certo a favore dell’intelligenza di chi ha colpito: era altamente probabile che i controlli per chi entrava sarebbero stati approfonditi, e pensare di farla franca dimostra un’indole criminale di prima qualità e una capacità di organizzazione molto bassa. Di fatto l’attentato dello Stade de France è una strage mancata perché tre kamikaze che si sono fatti esplodere hanno provocato in totale una sola vittima, ovvero un passante che si trovava vicino al primo scoppiato. In secondo luogo, probabilmente i pazzoidi avevano in mente la scena di Batman:

Assassini in azione

La guardia – di cui si conosce solo il nome, Zouheir – ha spiegato che l’attentatore è stato perquisito all’entrata dello stadio, 15 minuti dopo il fischio d’inizio del match, e gli è stata trovata addosso una cintura esplosiva. A quel punto l’uomo, allontanandosi, ha fatto detonare la cintura. Zouheir era posizionato nel tunnel dei giocatori ma è stato aggiornato sull’accaduto da una persona del team della sicurezza addetta alle perquisizioni. Un agente di polizia ha confermato la dinamica, aggiungendo che probabilmente il terrorista voleva far detonare la sua veste esplosiva dentro lo stadio. Ma tutto ciò dimostra che siamo di fronte a piani di azione molto inferiori dal punto di vista progettuale a quelli di Al Qaida (che ha preparato per due anni l’attentato alle Torri Gemelle). Fabio Tonacci su Repubblica ricostruisce in maniera ancora più particolareggiata l’accaduto:

«Abbiamo le prove che l’obiettivo fosse esattamente quello, a cominciare dai filmati delle telecamere di sorveglianza», sostiene una fonte altamente qualificata della Prefettura parigina. E il racconto che un testimone chiave, l’addetto alla security del cancello D, ha consegnato alla polizia negli interrogatori di ieri notte ne è l’ulteriore conferma. «Erano passati pochi minuti dall’inizio dell’incontro — ha messo a verbale l’uomo — quando si è presentato un ragazzo che ha provato a superare i tornelli con il biglietto in mano. Mi sono accorto però che aveva qualcosa di strano sotto la giacca».
Lo strano è una cintura di esplosivo militare Tatp (perossido di acetone), riempita di bulloni e collegata a delle batterie con un detonatore a pulsante. Scoperto dalla vigilanza, il ragazzo corre via lungo la Avenue Jules Rimet, la strada attorno allo stadio che in quel momento, sono le 21 e 20 minuti, è semivuota. Braccato, si avvicina a un chiosco e aziona il detonatore, uccidendo l’unica persona che ha accanto: un barista portoghese di 62 anni. «Abbiamo sentito un boato, ma nessuno ha pensato a un attentato», dice a Repubblica Nicolas, 23 anni, uno studente che vive nella citè di Saint Denis e che era presente alla partita. «Succede spesso di sentire dei petardi, dalle nostre parti». Le telecamere delle televisioni fanno in tempo a inquadrare l’espressione stranita di Patrice Evra.

Assassini, stragisti e stupidi. I più pericolosi.

Leggi sull’argomento: Attentati di Parigi: tutti i false flag che gli investigatori da tastiera hanno già individuato

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