Attualità
La protesta contro la Maker Faire spacca La Sapienza
di Giovanni Drogo
Pubblicato il 2015-10-15
Gli studenti della Sapienza chiedono libero accesso all’Università (che però sarà chiusa) e contestano che gli si faccia pagare un biglietto per entrare in fiera. Gli altri si organizzano per annullare la manifestazione di protesta. Chi ha ragione?
Sta per iniziare la Maker Faire Rome 2015, l’edizione europea della Maker Faire che quest’anno avrà luogo negli spazi dell’Università La Sapienza e la cosa non ha mancato di suscitare le rituali proteste di molti studenti dell’ateneo. Il motivo del contendere è presto detto: i padiglioni della fiera (e quindi l’Università) che sono stati montati sul Piazzale della Minerva saranno accessibili solo a pagamento. Venerdì e sabato infatti l’Università rimarrà chiusa (i dipendenti saranno messi in ferie) e gli studenti e i docenti che vorranno visitare la Maker Faire dovranno pagare un biglietto di quattro euro.
Fuori le multinazionali dall’Università (YAWN)
Una situazione inaccettabile per alcuni perché gli spazi dove si terrà la fiera dell’innovazione sono spazi pubblici, degli studenti e dei docenti, che dovrebbero potervi accedere gratuitamente. Ecco quindi che, al grido di “il nostro Ateneo sta profondendo uno sfruttamento intensivo nella mercificazione dei risultati della ricerca scientifica, MAKER FAIRE!” un nutrito gruppo di studenti ha deciso di contestare le scelte dell’Amministrazione universitaria e di chiedere il libero accesso alle strutture dell’Ateneo durante i tre giorni della Maker Faire. La fiera, che nelle intenzioni degli organizzatori (è promossa dal Digital Champion renziano Riccardo Luna) è il più importante evento europeo per makers, appassionati di Do It Yourself e innovatori, è vista invece come:
il frutto di una decisione della governance universitaria che ancora una volta,come tante altre in passato, ha scavalcato completamente i pareri e i bisogni della comunità studentesca, dei docenti,dei ricercatori e dei lavoratori. La scelta di ospitare questa grande fiera all’interno dello spazio pubblico della sapienza risulta quindi completamente calata dall’alto.
Gli studenti inoltre contestano la presenza di sponsor come Google, Microsoft, Intel e ENI come sintomo del fatto che si sta svendendo l’Università alle multinazionali. Ma bisogna sottolineare che all’evento saranno presenti centinaia di espositori e start up che hanno a che fare più con il mondo dell’open source che con quello delle sopracitate aziende. Non a caso la fiera è curata Massimo Banzi, l’ideatore di Arduino. Se è vero che l’evento è stato calato dall’alto è anche vero che i proventi dell’Università derivanti dalla concessione degli spazi verranno destinati a “supportare le eccellenze scientifiche d’Ateneo, in particolare i giovani ricercatori e gli studenti“. Su questo punto però gli studenti non mollano e chiedono la più totale trasparenza “riguardo l’entità dei fondi che la Sapienza otterrà per quest’evento e come intenda investirli“. Sembrerebbe più un problema tra studenti e Amministrazione universitaria che tra studenti e i makers o la Makers Faire in sé. A confermarlo anche un’intervista a Salvatore Iaconesi – makes e docente universitario – pubblicata dal Manifesto.
Ok, ma chi è che ha ragione qui?
Sarebbe molto semplice dividere il campo tra buoni e cattivi, alla fine guardandola da fuori o si sta con i makers o si sta con gli studenti. In realtà le cose sono molto più complesse di così, perché i makers non sono le multinazionali e all’interno della comunità italiana le istanze di coloro che contestano la presenza della Makers Faire alla Sapienza sono state prese piuttosto sul serio. Un esempio è il dibattito che si è sviluppato all’interno del gruppo Facebook Fabber in Italia. In particolare in un post si è animato un vivace dibattito tra alcuni maker e alcuni studenti che si oppongono alla presenza della fiera, così come è stata concepita, all’interno della Sapienza. C’è chi dice che una collaborazione tra makers e studenti della Sapienza potrebbe giovare a entrambi e soprattutto contribuire a inventare collettivamente (la collegialità delle decisioni è un punto molto sentito) un nuovo modo di fare università. Anche il discorso circa il riutilizzo dei soldi incassati dall’Università per aver concesso uno spazio pubblico è un tema che trova – senza nessuna sorpresa – sullo stesso lato della barricata makers e studenti. Altri invece sorridono di fronte alle accuse di “speculare sull’innovazione” perché in fondo non si può pensare all’innovazione tecnologica senza al business, perché sono due cose che devono per forza di cose trovare il modo per trovare un accordo e quello dei maker è una forma di business che viene “dal basso” nel senso che è diverso dai modelli imprenditoriali delle grandi aziende e delle multinazionali e che, se possibile, è molto più simile a una sorta di artigianato tecnologico in cui si compie un processo di continua re-invenzione del quotidiano. Ad un certo punto interviene anche un dipendente della Sapienza direttamente coinvolto nell’organizzazione dell’evento che spiega come l’evento sia in realtà pubblico e non organizzato da privati:
Maker faire non è organizzata dalle aziende multinazionali ma da asset camera, cioè una azienda speciale della Camera di commercio di Roma. Quindi un attore integralmente pubblico che ha chiesto l’ospitalità di un’università pubblica con l’obiettivo comune di promuovere la cultura dell’innovazione. Della volontà di ospitare maker faire si è data per la prima volta comunicazione negli organi di governo a gennaio 2015 e in diverse altre comunicazioni (i cui verbali sono reperibili sul sito della sapienza). A tutti i ricercatori che devono essere presenti nel fine settimana di Maker Faire per esperimenti di laboratorio è stato garantito l’accesso al luogo di lavoro. Le biblioteche della città universitaria saranno chiuse, è vero, da giovedì a domenica, ma si fanno chiusure ben più ampie in altri momenti dell’anno e non sarà questo che impedirà agli studenti di laurearsi. Non vi sto neanche a raccontare quanto spende Sapienza in banche date di pubblicazioni on line disponibili da casa con la connessione proxy, per tutti, compresi gli studenti, .. anzi ve lo dico più di 6 milioni l’anno, quindi questo dibattito sui libri presenti solo in una biblioteca ha del surreale, inoltre sono settimane che si sa che il campus sarà chiuso venerdì sabato e domenica, quindi immaginare di programmare il proprio studio non mi sembra impossibile.
E anche sul biglietto per “entrare all’Università” è necessario fare qualche precisazione:
Detto questo, il dibattito sul biglietto per accedere all’università ha a mio parere dei termini sbagliati: il biglietto non è per accedere all’università, ma per accedere a Maker Faire, che in qualunque luogo si fosse svolta avrebbe comunque avuto un biglietto di accesso. Personalmente non vedo perchè una università non possa ospitare una manifestazione del genere il cui target principale è costituito proprio da giovani. Chiaramente non è tutto rosa e fiori, quest’anno sono previsti 600 espositori (tutti giovani maker, una minima parte di aziende anche medio piccole e alcuni sponsor) e il cantiere che ha invaso la città universitaria è immenso: è stato proprio il cantiere a far svegliare tutti, nonostante mail comunicazioni etc.. non ci si era realmente resi conto di cosa significasse ospitare un evento così grande (si sa che quando si toglie il parcheggio a Roma si genera un notevole malessere;-)
Nel dibattito interviene anche uno degli studenti che fanno parte della campagna di protesta contro la Maker Faire che spiega che gli studenti non hanno nulla contro il movimento dei maker o coloro che esporranno le proprie creazioni alla fiera ma, appunto come diceva Iaconesi, contro le modalità con cui Rettore e organi d’Ateneo hanno preso la decisione di tenere la Makers Faire “occupando” gli spazi dell’Università:
Ciao a tutti, sono uno studente di filosofia e faccio parte della campagna “Maker Faire. Per chi?”. Scusate se rispondo solo ora al dibattito molto interessante che state facendo. Per prima cosa, vorrei chiarire che noi non abbiamo assolutamente nulla contro di voi, nè contro la cultura maker in generale. Siamo studenti e siamo giovani, e in quanto tali il progresso tecnologico, di cui i makers sono una delle punte più interessanti, ci appassiona e ci interessa. In questi giorni, poi, dovendo affrontare questa fiera, ci siamo dati da fare per conoscere meglio il vostro campo di ricerca, e devo dire che personalmente sono rimasto sorpreso dalla qualità e dalla quantità di figate che producete, molte volte con pochi mezzi. Non siamo diversi da voi: in altri campi noi proviamo a portare avanti un tipo di ricerca altrettanto innovativo e altrettanto privi di mezzi. Io, ad esempio, mi sto specializzando in filosofia e neuroscienze, perchè penso che studiare persone per la maggior parte morte 150 anni fa non ha senso se non si collegano questi studi con la realtà attuale e con gli attuali progressi scientifici. Non siamo quindi dei retrogradi conservatori, ve l’assicuro.
E’ però innegabile, e anche molti di voi lo dicono in questa discussione e in altre a cui ho preso parte, che purtroppo il modo in cui l’università ha preso la decisione di ospitare questa fiera non è corretto. Chiudere uno spazio pubblico per quattro giorni con una decisione per nulla trasparente, per di più facendo pagare un biglietto a chi di quello spazio dovrebbe essere il protagonista, ci sembra assurdo. Assurdo perchè dei lavoratori vengono costretti a delle fiere obbligate. Assurdo perchè la settimana prossima ci sono sessioni di laurea, e impedire a dei laureandi di andare in biblioteca, a ricevimento o a studiare in facoltà è molto grave e creerà molti disagi. Assurdo perchè per l’università noi paghiamo già tasse spropositate per dei servizi scadenti, e altri 4 euro, pur essendo spicci agli occhi dei più, ci sembra un di più che sa di provocazione. Soprattutto a fronte degli sponsor pesanti che ha Maker Faire, da Google, a Microsoft, a Intel, a Eni. Sponsor che, tra l’altro, a noi sembrano anche un indizio del fatto che questo tipo di manifestazione sta prendendo una torsione diversa da quella che era lo spirito iniziale, di cui molti di voi parlano: condivisione, uscita dai recinti del brevetto, democratizzazione del sapere. Purtroppo, la storia ci insegna che quando queste grandi aziende si interessano ad un campo, lo fanno per comprare le idee migliori e farci i soldi. Questo non vuol dire che la ricerca deve fermarsi, ovviamente, ma, secondo noi, chi fa questo tipo di ricerca “dal basso”, artigianalmente, ha tutto l’interesse a lottare per evitare che questa appropriazione si dia, e costruire un nuovo tipo di sviluppo tecnologico che sia per tutti, non solo per chi se lo può permettere.
Non contro di voi, ma contro il modello del progresso per pochi e contro la governance della Sapienza, si rivolgono i nostri attacchi, e anzi spero che, una volta chiarito questo aspetto, voi capiate il nostro punto di vista e decidiate di schierarvi dalla nostra parte.
Domani, ad esempio, alle 12 abbiamo lanciato un sit in al “pratone” dell’università per chiedere un incontro di spiegazioni al rettorato. Ci farebbe molto piacere se qualcuno di voi riuscisse a passare, per confrontarci di persona.
La contro-petizione su Change.org
Nel frattempo alcuni studenti hanno aperto su Change.org una petizione online per chiedere ai colleghi di annullare la manifestazione di protesta prevista per venerdì 16.
Cari colleghi,
Pur condividendo parzialmente alcune delle obiezioni sollevate dal movimento “Maker Faire, per chi?” Relative alle modalità di organizzazione dell’evento Maker Faire Roma (MFR), riteniamo che per affrontare una discussione costruttiva che porti a miglioramenti ed alla risoluzione di criticità da voi evidenziate si possano percorrere strade diverse dalla manifestazione di venerdì 16. Le tematiche di compartecipazione alla governance, comunicazione, didattica complementare e trasparenza sono importanti e poterle affrontare in modo sereno tra le parti è un’opportunità da non sprecare. L’organizzazione di una manifestazione di protesta nella giornata inaugurale di MFR rischia non solo di svilire i temi proposti ma anche rovinare l’esperienza della fiera a quei tanti visitatori attesi che sono interessati al mondo open source e a visitare una delle università più grandi d’Europa, nonché ai vostri colleghi interessati a prendere parte alla fiera.
Cordiali saluti,
i vostri colleghi studenti della Sapienza.
Non resta che chiedersi cosa sarebbe successo se Maker Faire avesse deciso di concedere un free-pass a tutti gli studenti iscritti alla Sapienza…