L'inutile polemica sulla tassa sui cani a Torino

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2017-01-12

La sola idea di dover pagare 4 euro all’anno per il mantenimento delle 55 aree cani di Torino ha fatto drizzare il pelo a molti padroni di cani e a diversi animalisti che ritengono non sia giusto pagare una tassa “sui cani” “voluta dai 5 Stelle”. In realtà si tratta di una proposta avanzata da un consigliere d’opposzione. E uno dei problemi è che in Italia una tassa sui cani di fatti c’è già: è il microchip.

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Il Comune di Torino introdurrà la tassa sui cani per sovvenzionare la gestione delle are di sgambatura? Non è dato di saperlo perché al momento si tratta solo di una proposta avanzata da Silvio Magliano, capogruppo dei Moderati per Fassino in Consiglio Comunale, che però stando a quanto riferisce la Stampa sembra abbia riscosso l’interesse di tre consiglieri del MoVimento 5 Stelle ovvero il presidente della commissione Ambiente
Federico Mensio, la vice capogruppo Chiara Giacosa e Antoninio Iaria, che non l’hanno esclusa. Tanto è bastato per scatenare le reazioni di chi il ritorno della tassa sui cani non lo vuole per nessuna ragione.
tassa cani torino

Non è una proposta del M5S ma dell’opposizione

La proposta di Magliano prevede che i possessori di cani del Comune di Torino paghino una tassa annuale aggiuntiva rispetto alla Tari (l’imposta sui rifiuti) dell’importo compreso tra uno e quattro euro (l’entità potrebbe variare in base al reddito) per consentire la manutenzione delle aree cani, la pulizia delle strade dagli escrementi abbandonati dai proprietari di cani incivili e la realizzazione di nuove aree di sgambatura. Secondo Magliano infatti la manutenzione dei giardinetti destinati ai quattro zampe costa al Comune 180 mila euro all’anno mentre la realizzazione di un’area cani nuova (con recinzione e fontanella dell’acqua) può arrivare a costare fino a 30 mila euro. Va da sé, è la tesi di fondo, che in un periodo di vacche magre e con i continui tagli al bilancio sia necessario chiedere ai proprietari di cani di “contribuire” al mantenimento del servizio del quale usufruiscono. L’idea della tassa per i cani no è in realtà nuova, ed esisteva in Italia fino al 1974, anno in cui fu abrogata. Da allora diverse volte qualche politico ha tirato fuori l’idea di tassare i cani (ad esempio fece molto rumore l’emendamento poi ritirato che proponeva di introdurre una tassa sui cani non sterilizzati) in modo da “dare più servizi” o semplicemente per consentire ai servizi esistenti di continuare ad esistere. Come sempre accade la proposta non viene ben accolta dai proprietari di cani che (proprio come chi un cane non ce l’ha) non muoiono dal desiderio di pagare “più tasse”. Come sempre le argomentazioni sono le più varie: si va da chi ricorda che anche chi non ha figli paga la manutenzione e la cura delle aree giochi per bambini (ma seriamente non si può paragonare un cane ad un bambino, ed ho un cane), chi chiede invece più controlli  e più multe sui proprietari che lasciano che il cane sporchi in giro a chi invece sostiene che le persone che non vogliono o non possono permettersi di pagare quattro euro all’anno (senza contare che alcune categorie di reddito probabilmente sarebbero esenti) finirebbero con l’abbandonare i cani o portarli ai canili dove finirebbero a carico di associazioni e Comuni (i cani randagi sono “di proprietà del Sindaco”). Federica Mandarini, avvocato della LAV ritiene invece che si tratti di una forma di discriminazione:

La tassa o l’imposta sui cani è una forma di discriminazione,  i proprietari di animali hanno già spese mediche tutte a pagamento, poi il cibo che costa parecchio. Questa tassa sarebbe un’ulteriore penalizzazione. Dovrebbe pensarci l’amministrazione comunale senza influire sui contribuenti. Per gli anziani sarebbe davvero una penalizzazione forte, a volte per queste persone il cane è l’unica loro consolazione.

C’è da dire però che le spese mediche veterinarie (se il cane è in salute si tratta di una vaccinazione annuale che si va ad aggiungere all’eventuale intervento di sterilizzazione che è fornito ad un costo ridotto anche dalle ASL) sono detraibili e bisogna ricordare che i padroni di cani non sono tutti anziani che vivono di una misera pensione in compagnia del loro fidatissimo cagnolino che difficilmente abbandonerebbero se è “la loro unica consolazione” (sostenere il contrario significa non capire il rapporto che si instaura con un cane). Nel novero di chi ha cani ci sono padroni di cani che posseggono animali di razza con pedigree che possono costare anche un migliaio di euro così come famiglie più o meno benestanti che prendono un cane al canile per le quali difficilmente i 4 euro rappresenterebbero un ostacolo, almeno dal punto di vista economico. È vero: il cibo per cani ha un costo (e non si può dire che sia uno scandalo), ma se non ti puoi permettere di pagare il cibo per il cane e non puoi pagare quei 40 euro all’anno di vaccini allora forse non dovresti prenderti un cane. Del resto dal punto di vista teorico una tassa sul cane in Italia c’è già: è il microchip – questo sì obbligatorio – che dovrebbe essere messo a tutti i cani (anche qui si ritorna sulla questione del controllo dell’applicazione del microchip). Il costo del microchip si aggira attorno ai 30 euro (8 euro sono per la registrazione all’Anagrafe Canina). Si tratta di una tassa una tantum e non di una dog licence annuale come quelle che invece sono previste in diversi paesi che dall’Italia consideriamo civili quali Germania, Canada o Olanda.
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Pagare trenta euro per l’intera vita del cane forse è un po’ poco, visto e considerato i costi di gestione delle aree pubbliche? Non sarebbe male cogliere l’occasione per discuterne serenamente. Chi è contrario alla tassa risponde dicendo che i padroni dei cani che frequentano le aree cani sarebbero ben felici di contribuire volontariamente (magari pagando qualcosa di più) alle migliorie per le aree di sgambatura o alla creazione di nuove zone riservate. Altri invece spiegano che si potrebbe ricorrere alla sponsorizzazione da parte di negozi di animali o meglio ancora ditte produttrici di cibo (e perché non anche del veterinario di zona?). Sembra essere questo l’orientamento dell’Amministrazione comunale a Cinque Stelle, che con l’Assessora all’Ambiente Stefania Giannuzzi sta studiando “strade alternative, come la possibilità di pubblicare un bando per la ricerca di sponsorizzazioni”. Chi ha un cane e vive in città sa bene che le aree cani sono indispensabili non tanto per far fare “i bisogni” al cane ma per consentire una corretta socializzazione dell’animale che potendo frequentare i suoi simili ha la possibilità di sviluppare un carattere meno problematico. Insomma le aree cani non fanno felici i proprietari quanto i loro amici a quattro zampe che così – i padroni di cani non sono quasi mai esperti cinofili – vedendo che Fido è “gestibile” saranno meno propensi ad abbandonarli. Spesso ci si lamenta che in certe zone d’Italia c’è una scarsa cultura cinofila, le aree di sgambatura rappresentano in diversi casi un punto di aggregazione per i padroni che a volte hanno la possibilità di “imparare” da altri come educare il proprio cane e come essere dei “bravi padroni di cani”. Però è innegabile che le aree cani sono un costo per il Comune e che molti cittadini che non hanno cani le vedano ancora come un servizio extra (per tacere di quelli che le aree cani sotto casa non le vogliono perché disturbano), la sponsorizzazione e il contributo volontario possono essere una soluzione a patto che però l’area cani sia sempre al servizio della collettività e non solo di chi vi ha contribuito. Personalmente, da padrone di cane che vive in una città dove i servizi per i cani ci sono sarei disposto a pagare 4 euro l’anno per avere servizi migliori.

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