Attualità
La Consulta boccia una norma della Buona Scuola
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2017-12-06
Bocciata la norma che vieta agli assunti di partecipare ai concorsi pubblici per il personale docente
Con sentenza pubblicata 251 di oggi, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la disposizione dell’articolo 1, comma 110, della legge di riforma della scuola 107 (La Buona scuola) e di conseguenza dell’articolo 17, terzo comma, del successivo decreto legislativo 59, là dove escludono dalla partecipazione ai concorsi pubblici per il reclutamento del personale docente gli insegnanti già assunti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali. La pronuncia è pertanto destinata ad applicarsi anche alle prossime procedure concorsuali di reclutamento dei docenti.
La Consulta boccia una norma della Buona Scuola
A sollevare le questioni di legittimità era stato, con 2 distinte ordinanze, il Tar del Lazio: la Corte, nella sua sentenza, rileva che la “disposizione censurata esclude dai concorsi pubblici per il reclutamento dei docenti coloro che siano stati assunti con contratto a tempo indeterminato nelle scuole statali. In questo modo – scrivono i ‘giudici delle leggi’ – il diritto di partecipare al concorso pubblico è condizionato alla circostanza, invero ‘eccentrica’ rispetto all’obiettivo della procedura concorsuale di selezione delle migliori professionalità, che non vi sia un contratto a tempo indeterminato alle dipendenze della scuola statale. Di contro, un’analoga preclusione non e’ prevista per i docenti con contratto a tempo indeterminato alle dipendenze di una scuola privata paritaria, né per i docenti immessi nei ruoli di altra amministrazione”. La “contestata esclusione”, osserva la Corte, si fonda “sulla durata del contratto (a tempo determinato, ovvero a tempo indeterminato) e sulla natura del datore di lavoro (scuola pubblica o scuola paritaria; amministrazione della scuola o altre amministrazioni): tuttavia, nessuno di tali criteri appare funzionale all’individuazione della platea degli ammessi a partecipare alle procedure concorsuali, le quali dovrebbero, viceversa, essere impostate su criteri meritocratici, volti a selezionare le migliori professionalita'”.
L’esclusione dai concorsi dei docenti già in ruolo non e’ giustificabile neanche in relazione alla finalità di assorbire il precariato, che “risulta contraddetta proprio dall’inesistenza di un’analoga preclusione per i docenti a tempo indeterminato della scuola paritaria, nonché per coloro che, in possesso delle necessarie abilitazioni, già abbiano un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze del Miur o di altre amministrazioni. Tali soggetti – scrive la Consulta – ancorché già titolari di contratto di lavoro a tempo indeterminato, sono ammessi a partecipare ai concorsi, a parita’ di condizioni, con i docenti precari della scuola” e in questo modo, “la disposizione in esame contraddice la stessa finalità in nome della quale essa sacrifica i diritti dei docenti della scuola statale con contratto a tempo indeterminato”. Inoltre, la preclusione imposta ai docenti di ruolo “può rivelarsi ininfluente ai fini dell’obiettivo asseritamente perseguito, non arrecando alcun sostanziale vantaggio in termini di migliore allocazione delle risorse lavorative”, rileva la Consulta, dato che “l’accesso ai concorsi dei docenti con contratto a tempo indeterminato darebbe luogo, nel caso di esito favorevole, all’assunzione degli stessi nella ‘nuova’ posizione, con conseguente scopertura della posizione precedentemente ricoperta, che potrebbe, quindi, essere successivamente assegnata ad altri”. Per queste ragioni, “nel restringere irragionevolmente la platea dei partecipanti al pubblico concorso”, la norma contenuta nella riforma ‘Buona scuola’ “confligge” con diversi articoli della Costituzione: “Il merito costituisce il criterio ispiratore della disciplina del reclutamento del personale docente”, ricordano i giudici costituzionali, e tale preclusione “contraddice tale finalità, impedendo sia di realizzare la più ampia partecipazione possibile, sia di assicurare condizioni di effettiva parità nell’accesso”.