Khadija Shabbi: così in Italia i giudici litigano tra terrorismo e reato d'opinione

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2015-12-26

Una ricercatrice dell’Università di Palermo accusata di reati gravissimi con dossier sui giornali da procura e Digos. Ma il giudice spiega che…

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Fermata domenica scorsa a Palermo dalla polizia con l’accusa di intrattenere rapporti con terroristi operanti in Libia, Khadiga Shabbi, di Bengasi, 45 anni, da tre ricercatrice alla facoltà di Economia dell’università del capoluogo siciliano, è diventata causa di un’aspra polemica tra la procura di Palermo e l’ufficio del Gip, dopo che il giudice per le indagini preliminari Fernando Sestito ha deciso – il 23 dicembre – di non convalidare il fermo della donna e rigettare la richiesta di carcerazione, preferendo l’obbligo di dimora. Shabbi “non è accusata di terrorismo o di associazione terroristica, come potrebbe intendersi, ma soltanto di un reato d’opinione: l’avere espresso il suo apprezzamento nei confronti dell’ideologia di gruppi ritenuti terroristici, manifestazione del pensiero che può diventare reato solo se resa pubblica”, dicono oggi il presidente dell’ufficio del gip Cesare Vincenti e il suo vice Gioacchino Scaduto, che non hanno gradito le critiche della procura alla scelta del loro ufficio.

Khadija Shabbi tra terrorismo e reato d’opinione

La 45enne libica Khadgia Shabbi, ricercatrice in Scienze economiche, aziendali e statistiche nell’Ateneo di Palermo, sulla quale la procura palermitana ha realizzato un corposo fascicolo che parlava di contatti con foreign fighters, propaganda per Al Qaeda sul web e rapporti familiari con esponenti di un’organizzazione terroristica coinvolta nell’attentato all’ambasciata americana in Libia nel 2012, se n’è tornata nella sua casa del centro storico del capoluogo siciliano con l’obbligo di dimora e divieto di uscire nelle ore serali. Shabbi, che riceve ogni mese un assegno di 2mila euro dall’ambasciata libica per il dottorato di ricerca, potrà continuare a utilizzare internet senza restrizioni. E ciò, malgrado lo stesso gip Fernando Sestito concordi che tutto matura «attraverso Fb, strumenti informatici e telematici». Ma per lui, che ha pure riconosciuto la sussistenza dei gravi indizi a carico dell’indagata, non sussiste il pericolo di fuga né di inquinamento probatorio. Certo c’è la possibilità che la donna reiteri il reato, ma per il magistrato è sufficiente la misura disposta. L’ipotesi di reato avanzata dal pm Geri Ferrara, titolare dell’inchiesta coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Leonardo Agueci, è però quella di istigazione a delinquere a commettere reati in materia di terrorismo, aggravata dalla transnazionalità. Vincenti e Scaduto usano un linguaggio molto diretto: “Quelle della Procura – osservano – sono dichiarazioni avventate e inopportune. Anzitutto delegittimano oggettivamente il lavoro e la funzione del giudice per le indagini preliminari, il cui intervento nel procedimento è stato previsto dal legislatore a tutela e garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, italiani o stranieri che siano”. I pm dopo il rilascio della donna avevano dato un giudizio piccato: “Siamo sconvolti, è una misura inadeguata, contraddittoria e contraria alla più recente giurisprudenza”. Ora i giudici sottolineano che le posizioni della Procura “rischiano di creare nell’opinione pubblica un allarme ingiustificato di cui in questa fase storica non si sente affatto il bisogno. L’adozione di misure cautelari di tipo detentivo, peraltro, lo stesso legislatore con le ultime riforme ha inteso fortemente limitare”. E, infine, affermano che “non si può indulgere a semplificazioni, ad emozioni o a precarie suggestioni esterne. Siamo tutti sconvolti dalle tragiche vicende terroristiche di questi ultimi tempi; ma questo non deve farci perdere la capacità di distinguere caso da caso e di valutare con freddezza e oggettività – alla luce dei principi costituzionali e dei parametri di legge – i fatti che vengono sottoposti alla nostra valutazione”.

Le accuse sui giornali

I giornali di lei avevano scritto che la donna, che avrebbe mandato diverse somme all’estero, era in contatto con foreign fighters rientrati in Europa dopo aver combattuto in Libia e Medio oriente. In particolare con un simpatizzante jihadista in Belgio e uno in Inghilterra. Secondo l’accusa, ha anche cercato di programmare il viaggio in Italia di un cugino combattente, poco prima che questi cadesse come martire militando tra le fila dell’Isis. Una morte che ha scosso Shabbi, che si è lanciata in commenti sanguinari su Fb, chiedendo vendetta. «Dio bruci il suo cuore, come lui ha bruciato il mio cuore» scrive il 19 maggio scorso . E, ancora «per favore vendicate la morte della persona più vicina al mio cuore». Sono tanti i contatti che ha mantenuto con gruppi fondamentalisti. Tra questi le organizzazioni terroristiche «Ansar Al Sharia Libya» e «Libia Shield One». Si sospetta che della prima Shabbi sia un «soggetto a disposizione».

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