Attualità
Firme false, la scena muta della deputata Giulia Di Vita
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2016-12-01
Oggi la sospesa Di Vita ha deciso di non rispondere alle domande dei pubblici ministeri in qualità di indagata nella vicenda delle firme false per le comunali del 2012 a Palermo, Poi si è messa a parlarne su Facebook. In silenzio anche il marito della Lupo. Entrambi si sono rifiutati di fare il saggio grafico
Qualche giorno fa le ricordavano su Twitter che chiedeva di pubblicare tutte le intercettazioni. Oggi la deputata del MoVimento 5 Stelle attualmente sospesa Giulia Di Vita ha deciso di non rispondere alle domande dei pubblici ministeri in qualità di indagata nella vicenda delle firme false per le comunali del 2012 a Palermo. C’è da ricordare che la Di Vita aveva parlato con i magistrati quando era stata sentita in qualità di testimone (il testimone non può avvalersi della facoltà di non rispondere).
Firme false, la scena muta della deputata Giulia Di Vita
L’ADN Kronos poi scrive che la deputata M5S e l’attivista Riccardo Ricciardi, marito della deputata Loredana Lupo, entrambi indagati nell’ambito dell’inchiesta sulle firme false di Palermo, si sono rifiutati di fare il saggio grafico, chiesto dai pm durante l’interrogatorio. Dopo essersi avvalsi della facoltà di non rispondere, i due, assistiti dall’avvocato Antonina Pipitone, hanno anche deciso di rifiutare la prova grafica chiesta dai magistrati per fare la comparazione della scrittura con le firme falsificate. Nei giorni scorsi anche i deputati Riccardo Nuti e Claudia Mannino, entrambi indagati, avevano rifiutato di fare il saggio grafico. Prima di lasciare la procura, la deputata ha parlato con i giornalisti, senza dire molto: «Non ho niente da dire, non voglio dire niente e ai miei elettori parlerò quando voglio e come voglio». La Di Vita non ha voluto fare nessuna dichiarazione ribadendo che parlerà solo quando ne “ha voglia”. E a chi le chiedeva se risponderà a breve agli elettori replicava: “Chi vivrà, vedrà“. La Di Vita ha poi deciso di parlare su Facebook in una lunghissima dichiarazione in cui si rivolge ai suoi amici ed elettori, evitando accuratamente di spiegare la sua posizione ma tirando fuori molto veleno.
Ammirate ad esempio come la Di Vita si faccia una domanda molto semplice: ma se non sei stata tu perché non hai rilasciato il saggio grafico per confermarlo alla Procura? La risposta è una supercazzola esorbitante in cui parla di chi scredita il M5S e lo adduce a motivo per non aver rilasciato il saggio grafico: anche se fosse vero, cosa c’entrano le due cose insieme?
Il motivo è in realtà molto semplice, ragazzi. E basta aver seguito la vicenda fino dall’inizio per comprenderlo.
Da oltre 2 mesi, ormai, siamo sotto attacco mediatico e additati, più o meno esplicitamente, come dei delinquenti di terz’ordine, la feccia della politica, il disonore del Movimento 5 Stelle.
Proprio noi che portiamo avanti le idee del Movimento prima che lo stesso nascesse, prima che si chiamasse Movimento 5 Stelle, prima che si potesse anche solo pensare di presentare liste civiche e candidarsi ad una qualche elezione. E quale occasione migliore per screditare l’intero Movimento se non gettare ombre inquietanti proprio su chi il Movimento 5 Stelle lo ha costruito sulle proprie spalle e ha mantenuto sempre la barra dritta fin dentro la “stanza dei bottoni” senza cedere ad alcun tipo di compromesso?
L’occasione è ghiotta e difatti tutti ci si sono gettati a capofitto dandone notizia manco fosse un delitto di mafia, seguendo passo passo ogni nostro battito di ciglia e dando interpretazioni fantasiose – non avendo materiale da parte nostra – al nostro voluto e convinto silenzio stampa.
La Di Vita poi afferma che parlerà, sì, spiegherà tutto, ma solo quando saranno finite le domande: «Ci sottoporremo, con molto piacere e determinazione, ai dovuti interrogatori, e tutto ciò che si riterrà necessario, quando tutti i giochi sottobanco saranno definitivamente messi sul tavolo e tutti i veleni saranno finalmente venuti a galla (e ci siamo quasi)». Anche qui una replica incomprensibile per chi diceva di fare della trasparenza la sua luce guida.
La Di Vita poi se la prende con Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio che si sarebbero autosospesi in quanto autoaccusati o testimoni di accuse, e dice che la La Rocca dovrebbe dimettersi. Da tutto ciò la deputata ne consegue che chi è stato accusato ingiustamente non avrebbe dovuto autosospendersi ma, ancora una volta, non spiega perché, nonostante ci siano ad esempio sue email che la collocano come a conoscenza della raccolta firme, non abbia risposto al PM per spiegare perché non c’entri nulla né lo spieghi a chi la legge:
Chi si è autosospeso, a quanto pare, è chi si è autoaccusato o ha confermato le accuse. Mi sembra un passaggio sacrosanto a cui fare seguire quanto prima le dovute dimissioni, proprio per questo l’autosospensione di chi è stato ACCUSATO INGIUSTAMENTE non sta né in cielo né in terra, questo ovviamente è il mio personale pensiero e il motivo per cui non ho proceduto ad autosospendermi nonostante i tanti distinguo del fuoco amico. La sospensione, incredibilmente, pare essere considerata la soluzione alla vicenda.
Anche Nuti dice la sua sulle firme false
Nel pomeriggio Riccardo Nuti ha rotto il silenzio sulla sua pagina Facebook, proclamandosi di nuovo innocente ma senza fornire la sua versione dei fatti. Una scelta legittima vista la sua posizione di indgato, ma curiosa visto il ruolo in Parlamento: una scelta comunque che accomuna tutti e tre i deputati e gli altri indagati. L’accusa sostiene che ad essere riuscita sarebbe stata solo la ricopiatura di circa 1200 firme a sostegno della lista per le elezioni nel Comune capoluogo dell’Isola. E per questo la Di Vita è stata indagata, assieme ad altre 12 persone, numero destinato ad aumentare. Fra gli altri indagati – tutti rimasti in silenzio davanti ai pm – ci sono i parlamentari Nuti e Mannino, l’attivista Busalacchi, l’avvocato Francesco Menallo e il cancelliere Giovanni Scarpello. Lo scambio delle mail testimonia chi probabilmente c’era e chi no. Pochissimi i riferimenti espliciti all’operazione della ricopiatura, oggi ammessa da quattro dei protagonisti: Claudia La Rocca, Giorgio Ciaccio, Giuseppe Ippolito e Stefano Paradiso. Giampiero Trizzino, ad esempio, stava facendo un master a Milano, ma alle 13.46 del 3 aprile scriveva cosi’: “Sono a Milano fino a stasera. Nell’eventualità in cui non dovessi arrivare in tempo, vi lascio i recapiti” di un amico. Trizzino è oggi indicato come uno degli uomini della rifondazione grillina a Palermo e i pm lo hanno sentito come testimone, non da indagato. Chi sicuramente non c’era, secondo chi indaga, era la nissena Azzurra Cancelleri, allora candidata a Palermo: lei, sorella di Giancarlo e attuale deputata nazionale, diceva che “oltre che dare consigli non posso fare”, perché lei non era in città.