I due italiani uccisi dai terroristi in Libia

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2016-03-03

I due ostaggi italiani sarebbero morti a Sabrata secondo quanto fa sapere il ministero degli Esteri. Quattro tecnici italiani della ditta Bonatti, rapiti in Libia il 19 luglio, erano impegnati nella manutenzione del gasdotto Eni che rifornisce il nostro paese

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Due ostaggi italiani sono stati uccisi in Libia. Lo fa sapere la Farnesina. I due ostaggi italiani sarebbero morti a Sabrata secondo quanto fa sempre sapere il ministero degli Esteri. Qualche tempo fa era andato in scena un sequestro di quattro tecnici italiani della ditta Bonatti, rapiti in Libia il 19 luglio, e che erano impegnati nella manutenzione del gasdotto Eni che rifornisce il nostro paese. “Relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabrata in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali, la Farnesina informa che da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni ‘Bonatti’, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla. Al riguardo la Farnesina ha già informato i familiari. Sono in corso verifiche rese difficili, come detto, dalla non disponibilità dei corpi”.

I due italiani uccisi dai terroristi in Libia

Un testimone libico, rientrato a Tunisi da Sabrata, riferisce all’ANSA che i due ostaggi italiani “sono stati usati come scudi umani” dai jihadisti dell’Isis, e sarebbero morti “negli scontri” con le milizie di ieri a sud della città, nei pressi di Surman. I quattro italiani, due siciliani, un sardo e un ligure, tutti con esperienza all’estero, vennero rapiti nei pressi della “Mellitah Oil & Gas”, 60 chilometri a ovest di Tripoli, quasi al confine con la Tunisia, il 19 luglio 2015, poco meno di otto mesi fa. Failla, 47enne, originario di Carlentini, in provincia di Siracusa, è un saldatore specializzato. Padre di due figlie di 22 e 12 anni, prima di spostarsi in Libia aveva lavorato in Tunisia. Piano, invece, è un meccanico di 60 anni di Capoterra (Cagliari). Sposato con Isa, tre figli, Giovanni, Stefano e Maura, prima di lavorare per la Bonatti di Parma gestiva una officina meccanica. In Libia è arrivato solo una settimana prima del rapimento. Gli altri due ostaggi italiani sono Filippo Calcagno, 65enne di Piazza Armerina (Enna), già tecnico Eni, sposato e con due figlie, e Gino Pollicardo, originario di Monterosso, nelle Cinque Terre, in provincia di La Spezia. La pagina creata su Facebook “Per la libertà di Gino, Filippo, Salvo e Fausto” ha raggiunto i 3mila ‘mi piace’ Il ministro Gentiloni aveva parlato di finalità di estorsione alla base del rapimento. Il quotidiano online Libya Herald ha fornito una pista diversa: i quattro sarebbero stati nelle mani del “fronte Sumud”, che li terrebbe in ostaggio per ottenere un risultato politico dal governo di Roma. Scriveva di loro all’epoca l’Espresso:

Il fronte o alleanza di Sumud (talvolta trascritta dall’arabo come Sumoud o Sumood) è l’ultima fazione comparsa nella guerra totale libica: sono gli irriducibili di Misurata, che si oppongono in ogni modo al piano di pace concordato dal mediatore delle Nazioni Unite Bernardino Leon. La milizia è nata proprio come risposta al “lassismo” degli altri gruppi armati fondamentalisti, che poco alla volta si stavano preparando al negoziato e a un’intesa con le autorità di Tobruk riconosciute dall’Occidente.
A guidare il Fronte è una figura leggendaria: il colonnello Salah Badi. Si dice che fosse un ufficiale dell’esercito di Gheddafi, espulso dai ranghi per insanità mentale: un pretesto usato spesso per le epurazioni del regime. Di sicuro è stato lui nel 2011 a guidare la rivolta contro il Rais, facendo della città di Misurata il cuore dell’insurrezione, opponendosi da allora a qualunque riabilitazione degli uomini legati alla dittatura. Nelle elezioni del 2012 ha vinto un seggio in parlamento, ma quando sono stati proclamati i risultati favorevoli al partito moderato, ha lanciato un attacco contro l’aeroporto della capitale, scatenando il nuovo conflitto civile che ha fatto nascere due autorità rivali: quella di Tripoli, ispirata ai valori fondamentalisti dell’Islam, e quella di Tobruk, più vicina all’Occidente.

 

La Bonatti in Libia

La Bonatti, azienda per la quale lavorano i 4 tecnici rapiti in Libia, è una multinazionale con sede a Parma, che opera nel Paese africano dal 1979, nel comparto dell’ingegneria, approvigionamento, costruzione e manutenzione di impianti petroliferi, gasdotti e per la produzione energetica per l’industria. “La nostra sfida – si legge sul sito web dell’azienda – è realizzare progetti nelle condizioni ambientali e logistiche più critiche, in siti remoti, combinando innovazione e tecnologie avanzate per assicurare il successo ai nostri clienti”. “La nostra missione – si legge, ancora, nella home page del gruppo – è soddisfare i nostri clienti ed essere accolti nei Paesi in cui operiamo come fornitori di servizi che possano essere pienamente integrati con il territorio, la comunità e l’ambiente”. Il gruppo conta 6mila impiegati in tutto il mondo, di cui il 39% in Africa. Nel 2014 i ricavi sono balzati a 780 milioni di euro (548 l’anno precedente), di cui il 29% realizzati in Africa. L’azienda promuove, inoltre, programmi di training e formazione della forza-lavoro locale, anche tramite partnership con imprese del posto, università, enti formativi per “supportare lo sviluppo dell’economia delle comunità locali”. In particolare, in Libia, tra i progetti messi in campo dall’azienda nella zona di Mellitah ci sono la progettazione e costruzione di turbine per la produzione di energia, una piattaforma da 30mila metri cubi di cemento che si trova a 100 chilometri ad ovest di Tripoli, per l’estrazione e lo stoccaggio di gas, zolfo e idrocarburi. Nella stessa regione si trova un impianto per la compressione del gas, con 5 turbocompressori. A circa 80 chilometri ad ovest di Tripoli, risulta, invece, un’altra piattaforma per il trattamento dei combustibili che vengono esportati in Italia, ma il sito è destinato anche a rifornire le comunità locali. Nel sito sono impiegate 400 persone per la manutenzione e 100 per l’assistenza alle operazioni. Qui vengono svolti anche programmi di formazione. Centinaia gli addetti che vengono impiegati sul territorio nei servizi di monitoraggio e manutenzione degli impianti, così come nella fasi di shut down. Nel portafoglio clienti di Bonatti nella zona di Mellitah compaiono Mellitah Oil & Gas (Eni – Noc Company), Snamprogetti, Greenstream B.V., Wintershall Ag, Akakus Oil Operations (Repsol – Noc Company).

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