Attualità
«Dico no alle canne che mi hanno rovinato»
di neXtQuotidiano
Pubblicato il 2017-09-28
Lo scrittore Aurelio Picca sul Giornale lancia il suo accorato appello
Aurelio Picca, scrittore e giornalista, sul Giornale di oggi ci mette in guardia dai pericoli che il Dimogno infido et baro mette sul nostro percorso di vita, puntando il dito sulle “canne” che lo hanno “rovinato”.
Sono stato addirittura tra i primi a «fumare». Ai Castelli Romani, dove sono nato e abitavo, eravamo in trenta a farsi hashish e marijuana. Anzi, con i miei due o tre amici notturni preferivam il pakistano e l’afgano perché erano i più tosti. Quelli che ti facevano sballare di brutto. La marijuana, l’erba insomma,non l’ho mai potuta soffrire. Ti rincoglioniva. Ridevi da ebete.
Invecel’hashish ti sconvolgeva perbene. A volte avevo vere visioni,si acceleravano i pensieri, le immagini. Guidavo a 170 l’ora contro i Tir per mandarli fuori strada con immensa calma e lucidità. Furono tre anni senza regole emotive; anzi, l’emotività debordava dentro e fuori di me. Era un mare nel quale nuotavo. O che mi affogava rubandomi alla realtà.
Poi sono arrivati gli attacchi di panico che i medici in ospedale non sapevano neppure cosa fossero. Poi sono arrivati i collassi neurovegetativi e in ospedale mi dicevano che la pressione era okay, che ero sano come un pesce. Invece no. L’hashish era ed è mischiato con le anfetamine, con la metredina. Allora poteva capitarci uno schizzino di Lsd. Ecco perché era «roba buona».
E da ciò Picca conclude:
Le droghe leggere fanno male. Tanto male. Aumentano le ipocondrie, lavorano sulle fragilità dei ragazzi, gli spezzano la sintassi della crescita. Si pensa a depenalizzarle invece di educare alla costruzione di un progetto.
La mia non è una stupida ricetta provocatoria. Serve coraggio e generosità per raccontare che le cosiddette droghe leggere sono merda. Il dolce sta da un’altra parte. Ma per coglierlo occorre un po’ di sudore. Vale la pena,però. Cari, adorati tredicenni, quindicenni…non credete a quei rimbambiti che a settant’anni vanno ancora a cercare una canna. E scusatemi se si tratta di un amico di famiglia.