L'infermiera non era una killer: l'assoluzione di Daniela Poggiali

di neXtQuotidiano

Pubblicato il 2017-07-08

Una perizia, disposta in appello, ha concluso che il quadro clinico della paziente morta era solo in parte compatibile con una somministrazione di potassio a livelli letali. Le foto col ghigno beffardo al fianco di una donna appena morta nel suo letto d’ospedale avevano contribuito a creare un clima di colpevolezza intorno a lei

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La Corte di assise di appello di Bologna ha assolto “perché il fatto non sussiste”, dunque con la formula più piena dopo una perizia a lei favorevole, Daniela Poggiali, 45 anni, l’ex infermiera alla sbarra per l’omicidio di una sua paziente 78enne, Rosa Calderoni, all’ospedale di Lugo, nel ravennate. La donna in primo grado era stata condannata a Ravenna all’ergastolo perché riconosciuta colpevole di avere iniettato una dose letale di potassio all’anziana.

L’infermiera non era una killer: l’assoluzione di Daniela Poggiali

Su di lei gravava anche il sospetto di un secondo omicidio, quello di Massimo Montanari, 95 anni, deceduto il 12 marzo 2014 nello stesso reparto dove lavorava la donna, in cui una decina di morti almeno furono ritenute sospette dagli inquirenti. Ex datore di lavoro dell’allora fidanzato della Poggiali, Montanari stava per essere dimesso e l’ipotesi, anche in questo caso, fu che a stroncarlo fosse stata un’iniezione di cloruro di potassio. L’infermiera era stata pure condannata per due furti in reparto: soldi, farmaci. Ma soprattutto era inseguita da quelle terribili immagini da lei stessa prodotte, quei macabri scatti col ghigno beffardo al fianco di una donna appena morta nel suo letto d’ospedale. Un’immagine che, al netto delle sue spiegazioni, pesò sull’immaginario collettivo come indizio pesante di comportamenti indecenti per un camice bianco.
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Eppure il verdetto che clamorosamente la proclama innocente, cancellando il carcere a vita, non era del tutto imprevisto negli ambienti giudiziari. Al Pg Luciana Cicerchia, che nella requisitoria, in marzo, aveva chiesto la conferma dell’ergastolo argomentando che “da qualsiasi parte si esamini la vicenda, non vi sono spazi per soluzioni diverse da una conferma del giudizio di responsabilità o alternative a sanzioni che lo Stato deve dare di fronte a condotte di questa gravità”, ribatteva la difesa, rappresentata da Stefano Dalla Valle e Lorenzo Valgimigli. “Nella sentenza ci sono forti criticità che lasciano spazio a una flebile speranza: quella che la Corte d’assise d’appello sia meno suggestionata”.

La perizia che ha salvato Daniela Poggiali

 Una perizia, disposta in appello, concluse infatti che il quadro clinico della paziente era solo in parte compatibile con una somministrazione di potassio a livelli letali. E che l’applicazione dell’innovativo metodo per il calcolo del potassio atteso al momento della morte della 78enne non trova analoghe applicazioni in letteratura, per quanto di nostra conoscenza. Oltre settanta pagine nella quali gli esperti danno conto dei due mesi di analisi dimostrando che non c’era stato alcu omicidio, ma che si trattava di morte naturale.
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Poggiali era stata condannata all’ergastolo in primo grado a Ravenna. La sentenza bolognese la rimette in libertà aprendole le porte del carcere dove era reclusa dall’ottobre del 2014. L’assoluzione di Poggiali potrà avere conseguenze anche su un altro processo, quello che coinvolge Giuseppe Re, ex primario di Medicina interna dell’ospedale di Lugo, imputato per non aver dolosamente impedito un evento, cioè l’omicidio volontario addebitato a Poggiali.

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