Cosa succede se l'Italia va in guerra in Libia

di Giovanni Drogo

Pubblicato il 2016-02-24

L’arrivo dei droni USA alla base di Sigonella significa che presto andremo in guerra in Libia? Per il momento si tratta solo di “missioni difensive” ma c’è chi dice che gli USA stiano insistendo per usare i droni anche in missioni d’attacco

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I droni USA che attaccheranno le posizioni del Califfato in Libia partiranno dalla base italiana di Sigonella. A dirlo è stato ieri Brett McGurk, inviato speciale del Presidente USA per la coalizione globale contro ISIS. La notizia è stata in seguito confermata anche dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi che ha specificato che l’Italia è pronta a fare la sua parte nella guerra agli uomini di Al Baghadi; Renzi ha anche aggiunto che il via libera ai voli degli aerei senza pilota arriverà “caso per caso”. Insomma l’Italia vuole entrare in guerra? Non ancora, perché come ha prontamente precisato il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni la concessione della base di Sigonella «non è un preludio all’intervento militare» che dovrà in ogni caso arrivare dopo una decisione del Ministro della Difesa.
 

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L’infografica del Corriere della Sera sulle azioni militari americane in Libia (fonte: Corriere della Sera del 24/02/2016)

Quanto manca alla terza guerra libica?

Ed è stata proprio il Ministro Pinotti a condurre il negoziato con gli USA che ha portato all’accordo annunciato ieri. Accordo che è già operativo e che prevede che sia il governo italiano, nella persona del Ministro, a concedere di volta in volta l’autorizzazione dal decollo per le missioni. Gli interventi dei droni USA in Libia dalla base di Sigonella verranno effettuati solo in caso di pericolo, ovvero qualora il personale militare di terra si trovi sotto attacco. Si tratterebbe quindi esclusivamente di missioni “difensive” e non di attacco ad obiettivi già individuati in precedenza. Ogni intervento dovrà quindi essere autorizzato in seguito alla richiesta del comando militare statunitense con la massima celerità da parte delle autorità italiane. Dalle pieghe della notizia emerge però che una nuova guerra in Libia (con o senza il coinvolgimento diretto del nostro Paese) è sempre più probabile, da qualche tempo si a che della presenza di forze speciali inglesi e americane che starebbero già operando sul terreno contro obiettivi specifici del Califfato lungo la costa libica. E del resto se le missioni dei droni che decolleranno da Sigonella serviranno a difendere le truppe sul terreno significa che prima o poi (c’è chi dice molto presto) queste truppe di terra entreranno in azione. Gianandrea Gaiani sul Sole 24 Ore riportava ieri che secondo il Wall Street Journal l’Amministrazione Obama starebbe cercando di convincere il nostro governo ad autorizzare anche missioni offensive, ma naturalmente su questo aspetto né Renzi né i suoi Ministri hanno detto nulla. Certo, è interessante notare che non è la prima volta che i nostri alleati americani fanno dichiarazioni che costringono il governo ad uscire allo scoperto su questioni relative al coinvolgimento dell’Italia nella lotta all’ISIS. Gaiani ricorda che un episodio simile si verificò a dicembre quando Obama parlò dell’appoggio dei militari italiani schierati a difesa della diga di Mosul. Ma la vicenda è in realtà diversa e ben più contorta nel suo dipanarsi sui giornali. Fu Renzi ad annunciare, poco prima di Natale, lo schieramento di 450 militari italiani a Mosul e furono gli iracheni, qualche giorno dopo, a smentire l’esistenza di qualsiasi accordo. A febbraio però, durante la visita del Presidente della Repubblica negli Stati Uniti Obama ringraziò pubblicamente gli italiani per la protezione fornita alla diga di Mosul. Qualche giorno dopo Renzi durante la visita in Italia del premier iracheno Haider Al Abadi riceveva invece la richiesta d’aiuto per “salvare la diga di Mosul” liberata dal controllo degli uomini di Daesh e che necessita di opere di manutenzione, che saranno affidate alla società italiana Trevi.

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L’annuncio di un bombardamento dell’aviazione USA su postazioni di Daesh in Libia qualche giorno fa

L’Italia al momento non vuole immischiarsi direttamente nelle operazioni ma al tempo stesso non nasconde di sognare di avere un ruolo chiave nella ricostruzione del paese al termine delle ostilità. Il dubbio, legittimo, è che per poter avere la possibilità di esercitare la nostra influenza su una Libia nuovamente pacificata e liberata dagli uomini dell’ISIS e da tutte quelle forze che si oppongono alla stabilizzazione democratica l’Italia debba prima o poi impegnarsi in prima persona. Certo questo difficilmente potrà avvenire in assenza di un mandato internazionale dell’ONU in mancanza del quale un eventuale intervento militare italiano – sia che si tratti di bombardamenti che di azioni militari sul terreno – avrebbe buone possibilità di essere considerato illegittimo. L’Italia però deve trovare un modo per difendere gli interessi economici delle nostre aziende, a fine gennaio sono state diffuse notizie della presenza di una delegazione militare e d’intelligence italiana che si sarebbe incontrata con il generale Haftar nella base di al-Marj. Secondo il Sole 24 Orenon si può escludere che l’obiettivo della visita fosse anche quello di definire il rischieramento in quell’area di mezzi, velivoli e truppe italiane”. In quel caso però l’ingresso del nostro paese sullo scenario libico non potrà prescindere da un passaggio parlamentare, ed è probabile che per evitare critiche sul fronte interno il governo cercherà di evitare fino all’ultimo l’eventualità di un coinvolgimento diretto, preferendo la strada diplomatica e dei negoziati.

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