Corradino Mineo gioca a nascondino con la «donna bella e decisa» di Renzi

di Alessandro D'Amato

Pubblicato il 2015-11-05

Ieri ha toccato il fondo con le allusioni alla donna bella e decisa di cui Renzi sarebbe succube. Oggi il senatore ed ex giornalista del servizio pubblico (!) comincia a scavare

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Ieri Corradino Mineo ha toccato il fondo con un post su Facebook nel quale, dopo essersi arrabbiato perché Matteo Renzi aveva rivelato un suo sms in cui gli annunciava le dimissioni da senatore poi non date, alludendo a una non meglio precisata “donna bella e decisa” a cui il premier sarebbe “succube e subalterno”. Un’allusione senza nomi che ha ricordato più i metodi di avvertimento della mafia che i doveri di un buon senatore, cittadino e giornalista che proviene dal servizio pubblico. Oggi Mineo ha deciso di cominciare a scavare rilasciando un’intervista al Fatto Quotidiano in cui continua ad alludere senza dire.

Lui è stato scorrettissimo: tira fuori un sms privato un anno dopo, in un libro di Bruno Vespa, per sostenere che io mi dovevo dimettere già a suo tempo.
Che cosa c’era scritto nell’s m s?
La storia è questa: subito dopo le Europee del 2014, io definii Renzi autistico, ma non volevo offenderlo. Intendevo solo dire che, come un bimbo che pare debole per quel problema ma poi risolve le equazioni, lui era molto bravo in politica nonostante alcuni limiti personali. Renzi però usò quelle parole per attaccarmi in modo violentissimo in un ’assemblea del Pd, accusandomi di essere uno che offende gli autistici e le persone con handicap. Io, nauseato, gli mandai un sms: ‘Basta, ho sbagliato anche io, mi dimetto’. Poi alcuni amici, tra cui Gianni Cuperlo, mi convinsero a non dimettermi. E lui ora che fa? Racconta tutto a Vespa.

Ora, Mineo dice che tutto queste successe dopo le Europee del 2014. Ed evidentemente non ricorda che nell’ottobre di quello stesso anno minacciò pubblicamente (indovinate cosa?)… le dimissioni in un’intervista rilasciata a Repubblica:
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Nella quale diceva:

Mineo, e se invece nel maxi emendamento non c’è nessuna modifica di sostanza?
“Se fosse così, allora deciderò di conseguenza. Potrei anche dimettermi dal Senato o andare al gruppo misto, non me l’ha mica ordinato il medico… almeno non sarò uno che ha fallito come tanti”.

Ma la parte più pruriginosa è ovviamente quella sulla donna misteriosa:

Non entrerò su questo piano. Quelle conversazioni non le ho raccontate e non le ho scritte in libri. Davanti alla vergogna di questo sms divulgato, ho avvisato Renzi: ‘Guarda ragazzo, io non sono come te: a mettersi su questo piano ci si può solo rimettere’. Ha fatto un’infamia, ha cercato di sostenere che io sono attaccato alla poltrona.
Lo avverte: se insiste, lei parlerà.
Io nonlo farò mai,mi hanno insegnato da bimbo che le conversazioni private devono restare tali. Gli ho solo detto: so quanto sei debole, ti conosco bene. Io però devo chiederle a quali conversazioni fa riferimento, senatore… Non glielo dirò, mi fermo qui.

Anche con il Corriere gioca a nascondino:

«Io la Boschi non l’ho citata e chi fa il suo nome se lo inventa — risponde Mineo —. Non confermo nel modo più assoluto di essermi riferito a lei, ci sono in Parlamento altre donne belle e decise, come la Finocchiaro».

Mentre con Repubblica riesce nel capolavoro di citare Pasolini:

«Perché sorprendersi se dico che Renzi è subalterno a una donna? Uno non può essere subalterno alla compagna di banco, senza che questo implichi un altro tipo di rapporto? Comunque non alludo e non ho altro da aggiungere. E perché dovrei fare i nomi? Era una battuta pasoliniana».

Non ci sono parole.
Edit: Stamattina Mineo, con una lucidità impressionante, dà la colpa ai giornali per l’accaduto:

Ieri ho risposto a una mascalzonata – la riesumazione ad opera di Renzi di un mio vecchio sms privato per poter dire a Vespa che mi sarei dovuto dimettere da senatore e invece sarei rimasto per amore della poltrona- con quella che è parsa un’altra mascalzonata. “Renzi in mano a una donna”, il Giornale; “Succube di una bella donna”, il Fatto. Stefano Fassina mi ha invitato a scusarmi. Mi scuso per aver dato la stura a interpretazioni siffatte. Non mi interesso di fatti privati, non intendevo fare riferimenti “sessisti”, come dice il Corriere, nè mandare “pizzini”, come scrive Repubblica.
Intendevo reagire all’imbarbarimento della politica di cui, secondo me, il primo responsabile è Matteo Renzi. É il premier che risolve ogni contrasto politico in una battuta sferzante, che supera ogni difficoltà “spianando e asfaltando l’avversario”. É sua la macchina informativa, sui giornali e in rete, che amplifica dette battute fino a promuovere veri e propri linciaggi. Questo mi premeva dire nel post “Risposta agli insulti di Renzi”. Nel quale, certo, ho disegnato un profilo del premier. Quello di uno politico straordinariamente abile nel conflitto politico quotidiano, ma senza una visione del futuro, incerto quando si esce dalla partira a scacchi immediata, insicuro, e anche subalterno, davanti ad alleati emotivamente più solidi, come può essere una “donna bella e decisa”.
“Lui sa che io so” non era minaccia, nè voleva esserlo. Era la constatazione desolata di come Renzi prenda il caterpillar ogni volta che si sente in fallo, che qualcuno accenna alle fragilità che si celano dietro la maschera spavalda, talvolta arrogante, che ama indossare. Io so. So che anche Renzi aveva capito come la legge sulla scuola non fosse una buona legge -lo aveva persino detto in televisione- ma poi l’hanno convinto ed è passato in forza, imponendo la fiducia. So che sulla legge costituzionale ha spianato il Parlamento tre volte su ipotesi differenti e probabilmente contraddittorie. La prima prevedeva un Senato di Governatori e Sindaci, la seconda di Consiglieri-Senatori nominati dai Consigli egionali, la terza un’assise di Consiglieri, sì, ma in qualche modo indicati dal voto popolare. Questo so.
Ma non sono collettore nè diffusore di pettegolezzi. Anche se giornali mi usano per far affiorare, fin nelle prime pagine, insinuazioni da molto tempo disseminate in articoli maliziosi e titoli ammiccanti. Sono colpevole di quel che loro scrivono? In parte sì. Di nuovo ho sottovalutato il degrado nel confronto politico e mediatico nel nostro paese. E sottovalutando, ho provocato il cortocircuito. Di questo mi scuso, innanzitutto con me stesso. Per il calvario a cui mi sto sottoponendo.
Ribadisco, però, che tale degrado è conseguenza di una “narrazione” che troppo spesso non entra nel merito delle scelte né delle riforme. Perché preferisce dividere il mondo tra chi ama l’Italia e chi gufa, tra vincenti e perdenti, rottamatori e rottamati.
Da 19 mesi, da quando il 26 marzo del 2014, insieme ad altri lasciai cadere l’offerta di Renzi -detta in pubblico, davanti a senatori e deputati- di una possibile reiterazione del mandato, alla camera, in cambio della rinuncia al dissenso sulla riforma costituzionale- da quel giorno sono sottoposto a un vero e proprio fuoco di fila. Che usa la mia età, non più giovane ahimè, la carriera fatta in Rai -che da titolo di merito diventa colpa-, il mestiere del giornalista -che mi rende “visibile”- la stessa scelta di accettare la candidatura che mi offrì Bersani, come prove a corredo di una sentenza inappellabile: quest’uomo deve tacere, lasciare la scena, sparire.
Ho la pelle dura. So che l’intolleranza per ora la viviamo come farsa e non come tragedia, che il linciaggio per fortuna è solo mediatico, ma ho voluto dire basta. Spiegando che certe tecniche possono diventare e diventano un boomerang. Non per volontà o colpa di Mineo.

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